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R Recensione

8/10

Dale Cooper Quartet & The Dictaphones

Métamanoir

Esiste una musica di circostanza, che si adatta a ciò di cui necessita l'ascoltatore: svagarsi, viaggiare, lavorare al computer, creare un sottofondo cool ad una serata trendy. Difficilmente chi ha fatto della musica un percorso di ricerca può accettare una tale definizione di musica eppure è questa che prevale, quantitativamente. All'altro estremo, c'è una musica che non esiste in virtù delle necessità del fruitore: questa musica non si lascia trovare senza una ricerca, non ha una bellezza dai facili costumi, non parla una lingua immediatamente comprensibile. Certamente non si adatta ad ogni circostanza e di conseguenza l'ascoltatore deve trovare la situazione, il luogo e il tempo per introiettarla in sé. Anche se quella musica forse non si farà mai sua davvero.

"Métamanoir" richiede esattamente questo tipo di esperienza d'ascolto. Dopo il debut album del “Parole de Navarre” (2010), il collettivo francese porta avanti la sua danza lungo stanze oscure, convogliando svariate influenze provenienti dal jazz sperimentale, dalla dark new-wave, dalla musica contemporanea, dal trip-hop, dall'ambient, dall’industrial. Ciò che lentamente fluisce è un liquido denso nel quale sembrano affiorare in superficie, per poi sparire nuovamente negli strati più nascosti, tutte queste differenti attitudini. Ma è sempre e solo questione di sfuggenti suggestioni. L'impegnativa musica dei Dale Cooper Quartet è una scienza fascinatoria, la cui arte mesmerica impregna le superfici più segrete della coscienza, in parte riconducibile a quella profusa dal Kilimanjaro Darkzazz Ensemble. Alcune fra queste ibride sinfonie minimali raggiungono livelli di incredibile incanto: in Une Petite Cellier, le atmosfere degli In The Nursery si permeano idealmente del sax di Nils Petter Molvaer,  in La Terrible Palais i Joy Division si mescolano con la musica per aeroporti di Brian Eno, in Eux Exquis Acrostole (stratosferico vertice dell'album), i no-man di "Returning Jesus" si (con)fondono con il sassofono di  Jan Garbarek, in Ma Insaisissable Abri i Birds Of Passage gonfiano le vele con un inquieto vento dal lento sapore jazz producendo quel rumorismo minimale caro ai Lali Puna , in Le Implacable Gentilhommière una ipnosi ritmica dall'incedere tribale avvolge sotto una medesima ispirazione i Portishead di "Third" e i Piano Magic più introspettivi, in Mon Tragique Chartreuse, Fennesz e Robert Fripp sembrano essersi dati convegno come in un tempio alieno, in Elle Agréable Rendezvous De Chasse, gli Ulver di “Perdition City” e gli Ulver di “Shadow Of The Sun” congiungono il loro percorso. Sono tutti evanescenti parallelismi che scaturiscono e scompaiono configurandosi come sacre rappresentazioni dell’intima natura delle cose.

Quello dei Dale Cooper Quartet & The Dictaphones è un disco dalla bellezza oscura pieno di percorsi e suggerimenti per chiunque voglia crescere anche intellettualmente con la musica. Una delle sfide più belle offerte da questo 2011. Astenersi perditempo.

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Voto degli utenti: 7,2/10 in media su 5 voti.
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hiteck 10/10
Teo 8/10
REBBY 6/10

C Commenti

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redbar alle 15:55 del 28 dicembre 2011 ha scritto:

sembra promettere bene,a sentire le ascendenze. lo cercherò

FrancescoB alle 11:00 del 8 gennaio 2012 ha scritto:

Disco intenso ed interessante. Con lo spettro di Sam Rosenthal che si aggira prepotentemente fra i suoi solchi.