Lunatic Soul
Impressions
Di Mariusz Duda (anche leader della prog-metal band Riverside, ma è tanta e tale la distanza fra le due proposte che questa citazione è necessaria giusto per capire l'ampiezza del range che il musicista ha saputo attraversare), ho ampiamente parlato per le sue due uscite a nome Lunatic Soul, progetto sviluppato in quasi totale solitudine. Il secondo lavoro sono arrivato a battezzarlo come il "mio" disco del 2010, cosa che tutt'ora mi trovo a ribadire visto che quella sensazione di vertiginosa profondità non si è ancora dissipata.
Sensazione ribadita oggi che fra le mani giunge il terzo (e, sembra, finale) capitolo di una esperienza musicale che ha riservato davvero delle sorprese genuine. Stavolta Duda esprime la propria introversa personalità optando quasi esclusivamente il linguaggio strumentale, elaborando le otto "impressioni" in un fluido divenire, scandendole con precisione e differenziandole per umore, indole e, conseguentemente, per sonorità.
Sin dai primi ascolti gli otto movimenti rimangono imbrigliati nelle trame dei sensi, anche se ognuno per motivi differenti: il nordico desert-rock in salsa dub e in odor Tortoise di Impression I, il gusto "contemporaneo" di Impression II (sono certo che Ludovico Einaudi apprezzerebbe), l'estasi "vespertina" (in riferimento al quarto lavoro di Björk) di Impression III, l’approccio post-jazz di Impression IV che in qualche modo di si richiama al Pat Metheny acustico, l'ipnosi elettro-folk sefardita di Impression V che parte come uno strumentale trip-hop ma che si sviluppa in un crescendo ritmico degno dei Dead Can Dance (quelli di "Spiritchaser") e a cui attribuire l'aggettivo psichedelico non è fuori luogo, l'ascesi emozionale di Impression VI degna degli ultimi eccelsi album di soundscapes di Robert Fripp, le inquietudini di Impression VII che pare uscita da "Teachings In Silence" degli Ulver, l’ariosa armonia del pianoforte stesa su un delicato tessuto dai ricami celtici di Impression VIII. Un viaggio ricco di suggestioni e di trasfigurati panorami della realtà.
Tutta la musica contenuta nel cd non è mero frutto dell'utilizzo di elettronica, come si potrebbe immaginare: questa è solo la placenta che avvolge il suono degli strumenti tradizionali, senza mai togliere loro alito vitale. Completano il lavoro due remix (o meglio due “alternative versions”) nei quali torniamo a sentire la voce di Duda, naturalmente virile eppure impostata su timbriche delicate: Gravestone Hill e Summerland (rispettivamente in origine su “Lunatic Soul II“ e “Lunatic Soul“) sono proposte senza stravolgimenti ma maggiormente calibrate sul mood prescelto per “Impressions”, un mood meno prettamente pervaso da quel sapore “dark ambient” acustico che aveva caratterizzato i due precedenti opus e più incline a disegnare scenari variegati. Di certo almeno Summerland risulta oggi, se possibile, ancora più fascinosa.
Spero vivamente che le ispirate e gonfie vene creative di Mariusz Duda continuino a pulsare quell’estro più teso alla descrizione dei dettagli che proprio con i Riverside non può prevalere, e che dunque, qualunque sia l’eredita di Lunatic Soul, questa irrori nuovi terreni altrettanto fertili. Per ora sappiamo solo che la trilogia è completa.
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