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8/10

Lunatic Soul

Lunatic Soul

Il primo capitolo dell'esperienza musicale in solitaria di Mariusz Duda, leader dei Riverside, si manifesta sotto il nome di Lunatic Soul. L'oscurità è scelta come luogo d'elezione per la propria epifania sonora, una impostazione musicale lontana anni luce da quanto messo in campo fino ad oggi altrove nel percorso di Duda. Il disco si evidenzia per una maturità artistica al di là di ogni lecita aspettativa per chi non ha mai trovato grandi spiragli di originalità nei suoi Riverside.

Lunatic Soul” si palesa con il gusto unico della sorpresa, prima ancora di lasciare spazio alla piena rivelazione dei suoi significati. Stemperata la sorpresa, ci si addentra nei meandri di una mente, di un'anima, di una musica senza facili vie d'accesso. Ma nella quale è facile perdersi. Tutto è calmo, tutto è inquieto: la tensione è sottocutanea. Percussioni, chitarre acustiche, flauti increspano un oceano nero che incute timore. Il sapore è quello di un post-folk che fa eco a certe ambientazioni proprie degli Antimatter, degli ultimi Ulver (“Shadow of the sun”) come anche degli Anathema meno magniloquenti e solari o dei Porcupine Tree più introspettivi, con qualche tinta degli Opeth di "Damnation" e dei Dead Can Dance più etno-dark degli ultimi anni.

Questa musica risulta poderosa anche senza l'emergenza di sonorità “powerful”. La suggestione è maggiore di quello che è manifesto: la sua forza sta nelle soluzioni chiamate a porsi come alternative rispetto a paventati muri sonori che, chi possiede una eredità culturale heavy, si porta nel sangue. Per fortuna Mariusz Duda, come altri "illuminati" del metal, sa riscrivere il suo DNA, non avendo la benché minima paura di risultare  silenzioso. Un piccolo manipolo di collaboratori (fondamentali i contributi di Maciej Szelenbaum dei Riverside, qui impegnato alle tastiere e al flauto e Wawrzyniec Dramowicz, batterista degli Indukti) aiutano a dare maggiore corposità al tutto permettendo ad alcuni brani di essere decorati pur nella loro frugale validità: Out On A Limb, in tal senso, è sfuggente e allo stesso tempo tangibile, come una figura nella nebbia di cui non capiamo se la sua natura appartiene a questo mondo o all'altro. Ad ogni modo una bellezza immane come quella di Summerland, che pare realmente figlia di un folk alterato, contemporaneamente antico e moderno, con un ritornello che avrebbe potuto essere stato scritto da Steven Wilson.

Tutto converge verso la title-track (ovviamente omonima anche con il nome del progetto): la confessione di un'anima intrisa di atmosfere crepuscolari, solitarie e malinconiche, profondamente sensibile e vertiginosamente creativa. Cosa ampiamente dimostrata da una sequenza di brani in grado di rimettere in discussione gli stilemi dominanti nell'iniziale parte del lavoro, prediligendo strumentali dapprima dalle inquiete vibrazioni elettroniche (Where darkness is deepest) e poi incrociandole a ritmi jazz e a impressioni di pianoforte dal suono contemporaneo in un continuum arioso ed avvolgente (Near Life Experience). La voce calda ed evocativa di Mariusz Duda dona spessore ed energia vitale a panorami che sovente appaiono spettrali e densi di angoscia: da questo contrasto scaturiscono delle acqueforti come Adrift e ancora di più come The Final Truth, il cuore gonfio posto in fondo alla massa sonora, nel quale l'emotività prorompe in tutta sua essenza.

Nel 2010 è uscito "Lunatic Soul II" (mio disco dell'anno), degnissimo seguito di questo omonimo lavoro di debutto: a dire il vero nelle intenzioni dell’artista c’era la volontà di pubblicare un unico sostanzioso doppio album. Altre logiche l’hanno voluto scisso in due unità (la prima "nera", la seconda "bianca"). Per questo, come altrove leggerete in Storia della Musica, neppure il successivo capitolo si affranca da queste atmosfere notturne e ombrose: come avrebbe potuto farlo condividendo la medesima natura, la medesima carne, il medesimo sangue?

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TheManMachine (ha votato 7 questo disco) alle 23:22 del 9 febbraio 2011 ha scritto:

Un disco molto bello, a cominciare dall'artwork. Peccato che nel 2008 se ne siano accorti in pochi. Ora la tua recensione Stefano gli rende finalmente giustizia.