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R Recensione

6/10

Povarovo

Tchernovik

Nuovi figli della Grande Madre Russia, cercano identità espressive ben oltre gli sterminati confini della propria patria, cercando linguaggi e forme espressive di non facile comprensione. Con questo atteggiamento di sfida si pongono nei confronti dei loro ascoltatori i Povarovo, proponendo nel loro lungo viaggio crepuscolare (oltre settanta minuti) uno spettro sonoro che va dal dark jazz (The Kilimanjaro Dark Jazz Ensemble, Dale Cooper Quartet o i Death Ambient di Fred Frith), al post-rock più ambientale (Labradford, Gastr Del Sol), dalla contemporanea (Kronos Quartet, Les Fragments de la Nuit), al post-industrial (Current 93): le composizione si alternano fra loro, imbrigliando i sensi in un continuum spazio-temporale che altera la percezione. L’ascolto si rivela molto impegnativo ed è tale e tanta la “materia” dall’imporre il bisogno di una fruizione a piccole dosi. L’ensemble utilizza una strumentazione quasi prevalentemente analogica (giusto le ritmiche sono elettroniche), incorporando di tanto in tanto elementi sonori provenienti anche dalla musica tradizionale delle steppe.

L’intensità dell’insieme non si mette in discussione come anche la prospettiva dei Provarovo che promuove uno sguardo indagatore sulle zone d’ombra della realtà, ma talvolta uno spirito maggiormente proteso al superamento delle tenebre avrebbe concesso all’intera opera di respirare in modo più ampio, più profondo. Talvolta è invece la produzione e il suono in generale a non convincere del tutto, lasciando intravedere la natura pienamente sperimentale di alcuni episodi che non concede loro la possibilità di vederli trasformati in vere e proprie composizioni. Non latitano certamente momenti ammalianti e ricchi di suggestione: My Song 2224, Faq Short (che in virtù del pianoforte vivono di uno stato di grazia particolare) e Pro Romance (con la sua dinamica neoclassica), riescono a dimostrare sia il temperamento che le potenzialità della formazione. Sono invece sovrabbondanti frangenti nei quali le percussioni e i rumori di fondo dettano decisamente la rotta e sono questi a destare qualche perplessità: un esempio su tutti è costituito dalla conclusiva Un Der Mike, che fa trasparire la necessità che i Povarovo sviluppino un più marcato senso per la scrittura. Il rischio è che altrimenti a prendere il sopravvento sia una ossessiva concezione/convinzione di supremazia della forma (per quanto questa sia intricata ed intrigante) sul contenuto: tale logica conduce oggi alla realizzazione di landscape sonori, anche suggestivi, ma privi di un significato metaforico di qualcosa d’altro. I quadri sonori dei Povarovo tendono ad attrarre più l’attenzione sulla cornice che non sul dipinto stesso, talmente scuro dal non poterne apprezzare le figure su di esso rappresentate.

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