R Recensione

6,5/10

F Ingers

Hide Before Dinner

Più nera del nero, questa nuova pubblicazione della Blackest Ever Black a firma F Ingers, trio australiano che si installa sull’hauntologia più orrorifica. Formato da sette brani che potrebbero essere usati per sonorizzare una novella di Poe o un fenomeno di poltergeist, “Hide Before Dinner” rischia, sviluppandosi nell’area di confine tra terrore vero e posa, di risultare un disco, come dire, ridicolo, ma mi pare che ne esca bene, perché su un’attitudine inevitabilmente lo-fi e casalinga (un blair witch project musicale?) mette anche sostanza e una voce (Carla dal Forno) autenticamente narcotica e spettrale.

La sostanza sta, soprattutto, nell’uso di synth, effetti digitali, interpolazioni elettroniche quasi aliene, senza barocchismi ma con una specie di discrezione fantasmatica davvero efficace, come mostra un pezzo da brividi veri come “Tantrum Time”, da NON ascoltare tra i cristalli e gli arredi scuri di una vecchia casa abbandonata.

La voce è spesso inintelligibile, quando non viene franta e sfigurata dagli effetti, con risultati che sembrano mimare i flash di qualche apparizione allucinata assieme al ritualismo di una messa nera in vesti sci-fi (“Under the House Hard to Breathe”: angoscia a tutto spiano). Convincono meno i brani più sciatti, affidati a chitarre maltrattate con eccessivo sfoggio di dilettantismo (la title-track).

Non tutto è horror: alcuni passaggi più rilassati e meno inquietanti sembrano derivare da certi strascichi tra witch house e hypnagogic pop (dove Tropic of Cancer, diciamo, incontra i Peaking Lights, vd. anche "Useless Treasure"), per derive di neopsichedelia quasi colorate dove le chitarre prendono, con i loro vagabondaggi acidi, tutto il quadro (“Blissfull Cubby House”).

Bello il titolo, meno la copertina. Togliendo un po’ di esercizio di stile, si possono fare buone cose.

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