R Recensione

8/10

Stars Like Fleas

The Ken Burns Effect

Quando si dice la casualità degli eventi. Mi trovavo davanti allo scintillante monitor del mio PC (un Samtron 75E, anno di produzione 1996, altro che MacBook….) tutto intento a relazionare l’ultimo album di Samamidon, splendido figlio di una immaginaria quanto improbabile collaborazione casalinga tra Will Oldham, Sufjan Stevens e Zach Condon, quando, improvvisamente, BAM!, buio totale.

Il mio Samtron 75E non vuole più saperne. Dodici anni di onorato servizio e una morte piatta e disonorevole. Ripercorro mentalmente le ultime ore di vita di Sam alla ricerca della causa mortis, e mi domando: possibile che Sam(amidon), ossuto musicista recensito su un semplice documento Word, abbia potuto sconfiggere Sam(tron), cinque chilogrammi di plastica, magneti e cavi elettrici? Che sia finito tutto così, in una lotta Sam contro Sam, nella quale ho perso sia uno che l’altro (quando imparerò a cliccare “salva” mentre scrivo….)?

Dopo mezz’ora di compulsivi ed inutili tentativi “staccatutto-riattaccatutto–ctrl-enter-canc-power-aspetta-cambiapresa-pulisciicontatti”, capisco di non avere speranze. Sam è morto. E mi sa tanto che la garanzia è scaduta.

Nel Supermega Magazzino Tecnologico dall’altra parte della città il reparto monitor sembra una di quelle centrali di controllo militari che si vedono nei film futuristici. Intere pareti tappezzate di schermi che mandano tutti la stessa immagine. Sono circondato da centinaia di Teletubbies di ogni dimensione. Un incubo. Esprimo le mie necessità al commesso di turno il quale mi fa domande strane su pixels e Mega-qualcosa. Io gli rispondo solo che voglio spendere poco senza per questo autoinfliggermi il distacco della retina o gravi flogosi al nervo ottico.

Il venditore imbraccia un oggetto che, per forma e peso apparente, assomiglia tanto alla cornice di un quadro di medie dimensioni, me ne descrive brevemente le caratteristiche utilizzando un vocabolo italiano ogni dodici inglesi, poi lo infila in uno scatolone enorme, me lo abbandona sulle braccia e mi sorride: << Vada pure alla cassa. E buona domenica! >>.

Mentre raggiungo la paresi sorridente tipica di una cassiera al lavoro di Domenica, attraverso il reparto elettrodomestici ed immagino il commesso che infila una lavatrice dentro uno scatolone di nove metri per diciotto. Superati frigoriferi e forni a microonde, effettuo una piccola deviazione verso il reparto Musica, deciso a spendere i soldi economizzati con l’acquisto del monitor.

Nel Supermega Magazzino c’è tutto e niente, ovviamente. Ma i generi musicali ci sono tutti, così come le pubblicazioni più importanti. La mia attenzione si sposta sul “disco consigliato”, piazzato su una colonnina con tanto di cuffie disponibili per l’ascolto. Accanto al cd, un piccolo espositore contiene un’etichetta con una breve descrizione del disco: “Terzo album per il gruppo… blabla, distribuito in ritardo ... blabla, collaborazioni di membri … blabla, e la recente rivelazione Samamidon”. AHHH! Piccolo bastardo! Mi perseguiti!

Indosso le cuffie con rassegnata ira, pronto a ricercare ogni minimo difetto nell’opera del killer di Sam(tron).

Karmas’s Hoax” è puro distillato Robert Wyatt, sapientemente condotto dai fragili vocalizzi di Montgomery Knott. Sulla stessa scia si muove “I was only dancing”, arricchita da arpeggi prelevati dalla Chicago post-rock e code sinfoniche vicine a certi Sigur Ros. Dal libretto del cd scopro che gli Stars Like Fleas sono un duo composto dal già citato Knott e dal compositore multi-strumentista Shannon Fields, accompagnati per l’occasione da un numero indefinito di collaboratori e musicisti, tra i quali spiccano (ex-)membri di Beirut, TV on the Radio, Celebration, Fiery Furnaces, e Mercury Rev.

Il collettivo capitanato da Knott e Fields si concede ogni sorta di esperienza, dallo scarno “folk-ambient” di “Falstaff (Matt Elliott che gioca a nascondino con Derek Bailey) ai field-recordings di “Early Riser”, dalla pop song a base di banjo (suonato da Sam Amidon) e derive violinistiche orientali (“Barbers in Tennis Shoes”) alla jam dilatata e percussiva di scuola Animal Collective (“Toast siren”, cantata nel finale dal solito Sam Amidon).

Il flusso sonoro è continuo, le interruzioni tra un brano e l’altro sembrano concesse per puro formalismo, tanto è straripante l’ispirazione e la creatività della band statunitense. Spesso l’impressione è che Fields utilizzi free-jazz e trame elettroniche per dare sfogo a deliri musicali maestosi e difficilmente descrivibili (“You are my memoir”, l’ombra di Wyatt su un tessuto sonoro vicino a certa musica lounge degli anni settanta). Altre volte si inizia tenui e malinconici con voce, pianoforte e accenni di fiati per finire, disperati ed ubriachi, a cantare in coro una fine ineluttabile (“See for the woods”). Tant’è che nel finale le convenzioni saltano definitivamente, Knott e Fields chiamano a raccolta tutti i collaboratori (mamma mia, ma quanti sono?) e si lanciano in una lunga suite psichedelica e visionaria che cresce per otto minuti, trova la sua dimensione per i successivi quattro (cantati da Sam Amidon e Montgomery Knott) ed infine esplode in una versione hardcore dei Godpeed You Black Emperor (!).

Leggermente stordito, mi ritrovo tra gli scaffali pieni di cd, seduto sullo scatolone contente il mio monitor nuovo. Mi alzo, sollevo lo scatolone, ci metto sopra una copia di “The Ken Burns Effect” e mi dirigo verso l’uscita, pensando a come un bel disco possa dare significato anche alle giornate più infami.

Giunto a casa, apro la porta ed avverto una strana sensazione. C’è luce. Sposto la testa a destra per guardare oltre lo scatolone che sorreggo tra le braccia e vedo l’incredibile: Sam(tron) è vivo, e proietta nella stanza quel vecchio screensaver con i tubi tridimensionali colorati che si rincorrono.

Muovo il mouse e controllo i documenti. Bravo Sam(tron), ti sei difeso bene. Di Sam(amidon) non c’è traccia. Che a pensarci bene se non avessi staccato la spina non avrei perso neanche lui. Ma sì, chissenefrega, tanto adesso devo scrivere degli Stars Like Fleas.

V Voti

Voto degli utenti: 6/10 in media su 2 voti.
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loson 6/10
REBBY 6/10

C Commenti

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loson (ha votato 6 questo disco) alle 17:14 del 14 ottobre 2008 ha scritto:

La recensione è impetuosa, godibilissima e precisa. Il disco mi sembra invece un pò confuso, indeciso fra le molte strade che percorre parallelamente: il free-folk ancestrale dei Jackie O-Motherfucker, la Canterbury di Wyatt, pulsioni post-rock di seconda generazione... Non so, resta un'opera coraggiosa, anche se assai perfettibile.