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R Recensione

8/10

Travis & Fripp

Live at Coventry Cathedral

Il nome di Robert Fripp travalica il significato che un nome e cognome possono rappresentare, travalica e va oltre la storia (pesantemente importante) che si porta sulle spalle. Quello di Robert Fripp è un nome-essenza che assume un valore metonimico di una filosofia musicale, di un atteggiamento, di una modalità di introiezione, di incorporazione e, infine, di rappresentanzione di un universo sonoro, umano, comportamentale. Accostarsi a questo artista è però, paradossalmente, più semplice di quello che si possa pensare: non è infatti assolutamente necessario farsi carico di tutta la sua produzione passata o del suo passato tout court, per cogliere la sintesi della suo contributo musicale: in ogni progetto Fripp convoglia TUTTA la sua personalità, a prescindere dalle atmosfere prescelte di volta in volta. Non è necessario conoscere l’intera discografia dei King Crimson: ogni suo lavoro è in qualche misura specchio e conseguenza di ciò che è avvenuto in precedenza.

Anche dentro le epifanie di questo disco riecheggia il senso dell’esperienza di una tutta vita dedicata alla costruzione di una luce musicale. Il risultato finale, anche se inedito, è pertanto in grado di mettere a disposizione anche dell’ascoltatore impreparato (ma non distratto) l’eredità raccolta nel corso di oltre quaranta anni di musica. Anche e ancor più in questa unione con Theo Travis, valente e “giovane” (classe 1964) flautista e sassofonista, prevalentemente attivo tra adiacenze prog-jazz (biglietto verso Canterbury e ritorno) e con alle spalle una pregiata discografia sia per proprio conto (da non perdere almeno “Earth To Ether” del 2004), sia accanto a musicisti e band di grandissimo spessore come David Sylvian, Nine Horses, Jansen Barbieri Karn, no-man, Gong, Soft Machine Legacy, Stefano Panunzi, Uri Geller, Steven Wilson / Porcupine Tree, The Tangent, senza contare il suo ruolo di supporto in contesto live ad alcuni degli artisti appena citati (Gong, David Sylvian, The Tangent, Soft Machine Legacy e interminabili altri).

Ma qui, ancor più nell’album in studio del duo, “Thread” del 2008, l’esito del contagioso scambio di alchimie sonore fra i due strumentisti, evoca suggestioni pregne di una densissima emozione. Si trascende ogni possibile, ideale sommatoria fra le due personalità espressive e ciò che emerge è un compiutissimo flusso sonoro che, a dispetto dell’apparente incedere rilassato, è in realtà emozionalmente tesissimo: per cortesia, dunque, non chiamatelo ambient. Qui la musica è piena, per nulla minimale, statica o evocativa di film immaginari o di aeroporti. Qui la musica rappresenta solo sé stessa, senza mutuazioni di significato. Ed è certamente più impattante di quella prodotta da certe band post-doom-metal che da qualche anno si dedicano a mistiche (o misticheggianti) rarefazioni dal sapore atmosferico. “Live At Coventry Cathedral” è un live album di musica immanente, che evolve dall’unica composizione ripresa dall’album in studio “Thread”, ossia The Apparent Chaos Of Stone, attraverso una toccante rielaborazione per duetto del tema omonimo del vertiginoso “At The End Of Time” (lavoro solista di Fripp del 2007) e una inattesa rilettura di un classico dei classici crimsoniani (e pertanto modernissimo pur essendo del 1969), Moonchild: gli altri brani tracciano una mappa evolutiva di due esecutori che hanno saputo trovare, tanto attraverso la composizione quanto attraverso l’improvvisazione, un sentiero di incontro fatto di affinità elettive e di discipline compatibili.

Fripp dal canto suo, dopo qualche raffreddamento d’ispirazione nelle sue soundscapes anni ’90, a partire dal nuovo millennio ha saputo inanellare una coppia di lavori altamente significanti e significativi: “Love Cannot Bear” (2005), concepito in una fase creativa vividamente pittorica, e il già citato “At The End Of Time”, contraddistinto da un limbo dimensionale tutto suo, al di là del tempo e dello spazio. L’avvicinarsi del tour italiano (dal 12 al 15 Novembre a Roma, il 17 e il 18 Novembre a Milano), rende l’approccio a questo live ancora più carico di febbricitante vibrazione dell’anima. E pur se l’ascolto viene di solito inteso solo come una esperienza passiva dell’altrui arte, potreste scoprire che in rare occasioni anche la percezione individuale può concorrere a quella variazione dei campi di forza della realtà che solo la musica, irrompendo, sa generare.

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C Commenti

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Utente non più registrato alle 12:48 del 14 dicembre 2012 ha scritto:

Dischi non facili ma assolutamente affascinanti per questo duo di superbi musicisti.

In tal senso non è casuale la collaborazione con Wilson...