Dirty Projectors
Bitte Orca
Che questo ragazzo fosse un po’ svitato lo si era intuito fin dalle sue prime uscite discografiche. Glitch da cameretta nell’esordio “The Glad Fact” (2003) e nel successivo “Slaves’ Graves And Ballads” (2004), citazioni colte nel pretenzioso “The Getty Address” (2005) e rivisitazioni “free” dei Black Flag nell’ultimo “Rise Above” (2007). Nell’attesa del nuovo album, una simpatica collaborazione benefica con David Byrne (nella quale – incredibilmente - la voce dell’ex Talking Heads sembrava fatta apposta per le sonorità dei Dirty Projectors) ed una cover di “Hyperballad” in un disco-tributo a Bjork.
Questo diavolo chiamato Dave Longstreth torna con l’obbligo di stupire, di bissare (o superare) il successo e soprattutto lo scompiglio creato con “Rise Above”, un album che fu salutato da molti come una boccata d’aria fresca, capace di prendere le strutture punk-hardcore dei Black Flag e centrifugarle attraverso sonorità e strumentazioni completamente diverse. Neanche a dirlo, stupire è la cosa più facile per Longstreth.
Partite dalla traccia numero quattro: “Stillness is the Move” è un pezzo … beh sì, è un pezzo R n’ B. E quando diciamo R n’ B parliamo di quello che potete ascoltare tutti i giorni su Mtv, cantato da Christina Aguilera, o da Mariah Carey prima che si dedicasse alle ballate soft-porno. Con la voce di una eccellente Amber Coffman che sale e scende su un beat semplice e incalzante, accompagnata dalla chitarra “maliana” di Dave Longstreth e dal controcanto di Angel Deradoorian (fresca di esordio solista). Roba da non credere, se non fosse pubblicata dai Dirty Projectors e se non fosse che nella successiva “Two Doves” si va oltre: voce, arrangiamento d’archi delicato e Longstreth che pizzica le corde di una chitarra acustica con il suo stile inconfondibile fatto di strappi, note stoppate ed errori simulati. Gioco, partita e incontro. Se qualcuno di voi colleziona 7” (c’è ancora gente che lo fa, credetemi): “Stillness is the Move” singolo d’impatto sul lato A - “Two Doves” chicca da apprezzare nel lungo periodo sul lato B.
Il resto dell’album si snoda sulle consuete coordinate Dirty Projectors: temi portanti creati dalla voce e dalla chitarra “soukous” di Longstreth ed impreziositi dalle voci di Amber ed Angel (presenti anche sulla copertina dell’album nonché in veste, rispettivamente, di chitarrista e bassista), come nell’opener “Cannibal Resource”, un generale aumento del tasso di negritudine (“No intention”, forse l’episodio più vicino all’essenzialità di “Rise Above”), sprazzi di jam-rock nei quali Longstreth sfoga il suo vigoroso estro chitarristico (“Temecula Sunrise”) e vocale (“The Bride”). Altrove sono Amber ed Angel a mostrare le capacità delle loro corde vocali (il break alla fine di “Remade Horizon” fa fischiare le orecchie) o ad accompagnare Longstreth lungo improvvisate fughe cameristiche (“Fluorescent Half-Dome”) o mini suite “spaziali” con tanto di synth, voci filtrate e sensazioni da psichedelia del terzo millennio (“Useful Chamber”).
Che per una volta è bello anche non poter dare riferimenti: sembra Frank Zappa che improvvisa insieme ai Tinariwen, con Prince alla voce e le Destiny’s Child ai cori.
Capito? Ecco, appunto.
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