Death in June
Brown Book
"Brown Book" costituisce uno dei dischi fondamentali del sottogenere neo-folk che qui trova la sua massima espressione artistica grazie alla vena poetica ispirata di Douglas P., sorta di lugubre "chansonnier" che canta e declama senza requie la fine ineluttabile del'Europa e dei sui ideali.Inutile negare che la simbologia che hanno sempre usato i Death In June è scottante e ambigua come si evince dal simbolo usato dal gruppo, il Totenkopf usato dalle SS, ma chiunque abbia a cuore le sorti del nostro retaggio culturale ed ancestrale non può restare insensibile di fronte a questa coraggiosa dichiarazione di "resistenza" di fronte al declino ed alla superficilaità diffusa da cui siamo invasi.
Dopo l'iniziale filastrocca "Helige Tod" ( Santa Morte ), la prima parte dell'album è quanto di meglio si possa ascoltare in ambito neo-folk : "Runes and Men" è uno dei brani più efficaci ed evocativi di tutta la produzione Death in June, inizia con una sorta di fanfara militare e con il campionamento della voce di un gerarca nazista e si dispiega poi in una ballata incisiva che riporta alla memoria oscuri tempi dimenticati e antiche simboli ancestrali dell'Europa in cui le rune guidavano ancora le coscienze e lo spirito.Sia "Hail! The White Grain" che "To Drown A Rose" sono "standard" epocali del genere, soprattutto quest'utima vede in grande spolvero la voce dell'ospite Rose McDowell : anche qui viene ancora evocata l'ossessione per il simbolo della "rosa".Dopo questa prima parte del disco entra in scena la figura dell'allora collaboratore David Tibet che dona il suo contributo fondamentale ad oscure litanie come "Red Dog - Black Dog", "We are the Lust" e "Punishment Initiation" che avvicinano le sonorità del disco ad alcune tipiche atmosfere dei Current93 più occulti del periodo "Imperium".
La title-track "Brown Book" è una rilettura dell'"Horst Wessel Lied", l'inno delle SS, ed immerge l'ascoltatore in un'epoca che ha segnato indelebilmente e in modo tragico la nostra storia.Molti saranno scossi dalla ripresa di un inno cosi' controverso ma la visione di Douglas P. non conosce compromessi, una posizione questa che ha sempre ostacolato la sua carriera anche per il rifiuto ostinato a dare spiegazioni chiare circa le sue effettive convinzioni.Chiude questo disco epocale "Burn Again", un pezzo in cui riluce una chitarra acustica che evoca scenari desolati accompagnata dalla voce spiritata e maligna di David Tibet.
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