Six Organs Of Admittance

Shelter From The Ash

Scrivere canzoni e registrarle non è poi così faticoso; ok, ci possono essere fattori che provocano un certo stress mentale, anche fisico a volte, ma non mi si venga a dire che la settimana tipo di un musicista professionista è paragonabile a quella di un carpentiere… Nonostante ciò, bisogna ammettere che si fatica a capire come Ben Chasny riesca a tenere in piedi i suoi innumerevoli progetti (Comets on Fire, Current 93, Badgerlore, August Born, Plague League) e, nello stesso tempo, puntualmente dal 1998 ogni anno faccia uscire un nuovo lavoro sotto il nome di Six Organs of Admittance.

Una possibile risposta ai miei dubbi potrebbe essere data dal contenuto dei precedenti lavori che si sono sempre contraddistinti per una pronunciata propensione all’improvvisazione folk: strutture labili, chitarre ipnotiche e atmosfere rarefatte accompagnate da pochissimi inserti vocali. Per intenderci, non si vuol dire che i dischi fin qui usciti siano da considerarsi approssimativi o registrati in modo sbrigativo, solo che, in quest’ultimo Shelter From the Ash (terzo lavoro per Drag City) Chasny ha evidentemente deciso di prendersi un po’ più di tempo.

Languidi echi del passato (Strangled road, Goodnight) e sonorità che virano tangenziali alla psichedelia (Alone with the alone) e all’inquietudine (coming to get you) sono anche in questo lavoro presenti in buona quantità. Mentre fino all’ultimo The Sun Awakens però queste componenti sonore si perdevano in un infinità di forme non catalogabili, ora ci si avvicina più alla canzone (Jade like wine), senza però lasciare che la magia senza tempo e il fascino di pezzi che hanno radici (nel passato) e che sono in grado comunque di alzarsi verso l’alto, vengano sacrificate alla razionalità, elemento piacevolmente estraneo (almeno in apparenza) alla ormai decennale produzione della saga Six Organs of Admittance.