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R Recensione

10/10

Tim Buckley

Lorca

Difficile distribuire aggettivi e giudizi di valore quando si ha sotto mano la discografia di Tim Buckley. Uno che dopo l’ottimo esordio con l’album omonimo se ne esce a vent’anni con un disco splendido come Goodbye and Hello; che con Happy Sad decide di abbandonare definitivamente (o quasi) la musica dei comuni mortali per librarsi a mezz’aria in composizioni che più che canzoni paiono viaggi, derive oceaniche, esplorazioni interiori tra atmosfere di rarefatta malinconia; e che nel giro di un anno è capace di consegnare ai posteri un trittico di lavori quali Lorca, Blue Afternoon e Starsailor.

Difficile anche provare a valutarli e a stilare una sorta di classifica (parola assolutamente fuori luogo in tale contesto), che risulterebbe in ogni caso espressione di un gusto personale e soggettivo; credo che sia invece difficilmente contestabile il fatto che, nella parabola artistica di Buckley, Lorca rappresenti il punto più basso, la profondità assoluta da cui si può solo riemergere. Basso non in senso qualitativo, ovviamente. Le lunghe composizioni sono viaggi cosmici nei meandri di un Io inquieto e vulnerabile, improvvisamente denudato in tutta la sua fragilità. La voce di Buckley si accompagna ad una strumentazione scarna, timbri e armonie sospesi in un orizzonte senza tempo, nella title-track addirittura al più gentile vibrafono si sostituiscono le note lancinanti dell’organo: in un certo senso Lorca rovescia le stesse strutture di Happy Sad, che da una pur dilatata e fragile realtà piombano in una interiorità di angosciosa incertezza.

Apre le danze l’inquietante title-track, una delle composizioni più estreme di Buckley, dove il canto marmoreo poggia su un agghiacciante contrappunto di organo e chitarre privo di qualunque facile appiglio armonico. Pare di assistere ad un rituale esoterico, con la vittima designata incatenata ad un freddo altare di granito, mentre attorno gli iniziati contemplano l’orrore con divina indifferenza. Ecco, proprio l’indifferenza, la freddezza del canto e dei timbri riesce a toccare corde emotive mai raggiunte. Una cerimonia di distruzione e rigenerazione, una catarsi assoluta: con la vertigine iniziale di Lorca Tim Buckley decide coraggiosamente di affrontare subito i suoi demoni.

E infatti di qui inizia una lunga e faticosa risalita verso la superficie del mondo: e Buckley lo fa nel migliore dei modi con la splendida Anonymous Proposition, a parere del sottoscritto uno dei vertici del suo repertorio e una delle più belle canzoni d’amore mai scritte. Liriche mai così dense ed ermetiche (“Love me as if someday you’d hate me”), snocciolate sillaba per sillaba in uno stupefacente saliscendi melodico. La maestria vocale di Buckley ha raggiunti livelli straordinari, e dialoga splendidamente con le acrobazie di contrabbasso e chitarra: non solo assenza di percussioni, ma assenza di tempo e di armonia, di tutto ciò che costituisce la base di un normale pezzo di musica. Parafrasando un intervista rilasciata dallo stesso Buckley, Anonymous Proposition deve tenerti lì e renderti consapevole del fatto che là fuori, nell’oscurità, qualcuno ti sta parlando e sta aprendo le porte più nascoste del proprio Io. "This time you’ve learned that love is just a slave to where the hearth beat stronger".

A fare coppia con tanta bellezza c’è un altro pezzo splendido, Driftin’: appena un po più convenzionale nella struttura e nella melodia, ma di una intensità commovente. Liriche toccanti (“When there’s whine in your belly, Love rhytms in your tongue/For you are a woman, and each man has been too young…”), discreto ed evocativo accompagnamento di chitarra, contrabbasso e percussioni. Sull’interpretazione di Buckley non occorre spendere altre parole.

Meno sensazionali, almeno a mio giudizio, gli altri due brani (sempre considerato che stiamo parlando di Tim Buckley e di un album come Lorca): tornano le percussioni a scandire il ritmo, e la voce di Buckley riacquista una libertà e una solarità, un’energia più vicina alle acrobazie di Starsailor che alle meditazioni introspettive di Lorca e Anonymous Proposition. Detto questo, I Had a Talk with my Woman è un delizioso quadretto folk, una dichiarazione d’amore regalata al vento e alla montagna;  mentre con Nobody Walkin’ , il suo ritmo incalzante e l’interpretazione sopra le righe di Buckley vediamo concludersi il viaggio iniziato con il glaciale minimalismo della title-track, per avventurarci già dentro ai confini di quella musica che pochi mesi più tardi si sublimerà nel capolavoro Starsailor.

Pare tuttora incredibile come Buckley sia riuscito a far coesistere in un così ristretto arco temporale l’elaborazione e la registrazione di tre album così diversi: Lorca (ultimo lavoro per la Elektra) venne registrato prima di Blue Afternoon (primo disco auto-prodotto e primo a uscire per la Straight Record di Zappa e Cohen) ma pubblicato dopo, agli inizi del 1970. Sei mesi, ed ecco venire alla luce Starsailor, forse l’apice di un percorso che si era già fatto straordinario sin dal ’67 con Goodbye and Hello, ma che secondo il sottoscritto trova in Happy Sad e Lorca due vertici forse insuperati del cantautorato mondiale: ancor prima di esplorare le stelle Tim Buckley aveva esplorato come nessuno in musica i due volti del suo Essere più profondo. Musica che riesce a toccarti e a comprenderti, a dare un suono e una voce ad un mondo altrimenti ineffabile.

V Voti

Voto degli utenti: 9,3/10 in media su 19 voti.
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zagor 8/10
PinkMoon 8,5/10
B-B-B 10/10
Lelling 10/10
Vito 10/10
Grind 10/10

C Commenti

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bart (ha votato 9 questo disco) alle 17:05 del 6 ottobre 2014 ha scritto:

Terzo capolavoro di fila, e dopo pochi mesi arriverà il quarto. Pochi artisti sono riusciti in tale impresa.

Questo è il disco più angoscioso mai fatto dal più grande cantante di sempre. Dopo averlo ascoltato per la prima volta la notte ho avuto gli incubi.

zagor (ha votato 8 questo disco) alle 21:19 del 8 ottobre 2014 ha scritto:

Preferisco Happy sad e Starsailor, ma siamo ancora in territori geniali.

FrancescoB (ha votato 9,5 questo disco) alle 9:14 del 9 ottobre 2014 ha scritto:

Fra i massimi dischi di sempre, astrazione folk-jazz, un viaggio verso galassie inesplorate.

Utente non più registrato alle 18:44 del 13 ottobre 2014 ha scritto:

Il mio amore per questo enorme artista iniziò proprio dall'ascolto di questo disco.

glamorgan alle 23:27 del 11 luglio 2015 ha scritto:

E' quello che mi piace meno... Anzi non riesco proprio ad ascoltarlo. Goodbye and hello/blue afternoon/ happy sad i mie preferiti

tonysoprano (ha votato 10 questo disco) alle 13:45 del 6 aprile 2016 ha scritto:

Lorca è una delle canzoni più belle e angoscianti che io abbia mai sentito nella mia vita

vito.abbate@hotmail.it alle 22:27 del 23 gennaio 2019 ha scritto:

Un disco straordinario,di pura avanguardia con dilatazioni free form inimmaginabili fino a qualche anno prima. Voto 10 pieno.p.s. già che ci sono do i numeri anche agli altri dischi di tim. Tim buckley 5,Goodbye and hello 7,5,happy sad 10,blue afternoon 9,starsailor 8,5,greetings from l.a 7,sefronia 5,5,look at the fool 4,5.

Vito (ha votato 10 questo disco) alle 19:05 del 24 dicembre 2019 ha scritto:

Il disco più dilatato e sperimentale di Buckley, quello più difficile e sofferto, forse il suo capolavoro assoluto.voto 10

Utente non più registrat (ha votato 8 questo disco) alle 8:22 del 9 ottobre 2020 ha scritto:

Non credo sia il suo capolavoro, ma nel complesso questo Buckley che veste i panni di uno spettro muggente rappresenta un altro impressionante archievement per il cantautorato; anche se c'è molto poco in comune con "le canzoni" - praticamente solo I Had a Talk.

Questo disco è Astral Weeks visto da un freddo pozzo.

.

Ricordiamoci però sempre che adesso è quasi una banalità "avere sottomano la discografia di Buckley" e riconoscerla fra le più stimolanti e geniali ecc. di sempre. Tim però è morto di solitudine ignorato da tutti. E alcuni (sempre troppi) critici italiani (dai, sapete i nomi) che adesso IPOCRITAMENTE si commuovono davanti a Tim e la sua Opera e quasi danno per scontato che si tratti di un gigante, e magari si danno pure un tono da "gente quella seria" e hanno il coraggio di screditare il Piero che ricordo è stato l'unico o quasi almeno in Italia che si è preso la briga di adorare questi dischi. Brutta cosa soffrire di bestiali complessi d'inferiorità.

FrancescoB (ha votato 9,5 questo disco) alle 17:41 del 9 ottobre 2020 ha scritto:

Bella l'analogia con Astral Weeks, ma proprio perché lo avviciniamo al più-grande-disco-di-sempre, per Lorca un 8 è quasi riduttivo. Buckley stava portando la musica folk a spasso per galassie sconosciute.

La scheda dello Zio Piero dedicata a Tim è tra le più belle del suo lavoro (va detto, discontinuo e volte approssimativo), ma Tim non è l'unico artista originale morto di incomprensione e di solitudine, come lui Nick Drake e molti altri che probabilmente ci siamo persi; credo si tratti di un destino piuttosto comune, Piero ha sicuramente meriti nella scoperta italiana di Tim, ma altra gente prima di lui, specie in America, ha esaltato l'originalità di Buckley, che proprio sconosciuto non era al pubblico del suo paese d'origine.