Tim Buckley
Lorca
Difficile distribuire aggettivi e giudizi di valore quando si ha sotto mano la discografia di Tim Buckley. Uno che dopo lottimo esordio con lalbum omonimo se ne esce a ventanni con un disco splendido come Goodbye and Hello; che con Happy Sad decide di abbandonare definitivamente (o quasi) la musica dei comuni mortali per librarsi a mezzaria in composizioni che più che canzoni paiono viaggi, derive oceaniche, esplorazioni interiori tra atmosfere di rarefatta malinconia; e che nel giro di un anno è capace di consegnare ai posteri un trittico di lavori quali Lorca, Blue Afternoon e Starsailor.
Difficile anche provare a valutarli e a stilare una sorta di classifica (parola assolutamente fuori luogo in tale contesto), che risulterebbe in ogni caso espressione di un gusto personale e soggettivo; credo che sia invece difficilmente contestabile il fatto che, nella parabola artistica di Buckley, Lorca rappresenti il punto più basso, la profondità assoluta da cui si può solo riemergere. Basso non in senso qualitativo, ovviamente. Le lunghe composizioni sono viaggi cosmici nei meandri di un Io inquieto e vulnerabile, improvvisamente denudato in tutta la sua fragilità. La voce di Buckley si accompagna ad una strumentazione scarna, timbri e armonie sospesi in un orizzonte senza tempo, nella title-track addirittura al più gentile vibrafono si sostituiscono le note lancinanti dellorgano: in un certo senso Lorca rovescia le stesse strutture di Happy Sad, che da una pur dilatata e fragile realtà piombano in una interiorità di angosciosa incertezza.
Apre le danze linquietante title-track, una delle composizioni più estreme di Buckley, dove il canto marmoreo poggia su un agghiacciante contrappunto di organo e chitarre privo di qualunque facile appiglio armonico. Pare di assistere ad un rituale esoterico, con la vittima designata incatenata ad un freddo altare di granito, mentre attorno gli iniziati contemplano lorrore con divina indifferenza. Ecco, proprio lindifferenza, la freddezza del canto e dei timbri riesce a toccare corde emotive mai raggiunte. Una cerimonia di distruzione e rigenerazione, una catarsi assoluta: con la vertigine iniziale di Lorca Tim Buckley decide coraggiosamente di affrontare subito i suoi demoni.
E infatti di qui inizia una lunga e faticosa risalita verso la superficie del mondo: e Buckley lo fa nel migliore dei modi con la splendida Anonymous Proposition, a parere del sottoscritto uno dei vertici del suo repertorio e una delle più belle canzoni damore mai scritte. Liriche mai così dense ed ermetiche (Love me as if someday youd hate me), snocciolate sillaba per sillaba in uno stupefacente saliscendi melodico. La maestria vocale di Buckley ha raggiunti livelli straordinari, e dialoga splendidamente con le acrobazie di contrabbasso e chitarra: non solo assenza di percussioni, ma assenza di tempo e di armonia, di tutto ciò che costituisce la base di un normale pezzo di musica. Parafrasando un intervista rilasciata dallo stesso Buckley, Anonymous Proposition deve tenerti lì e renderti consapevole del fatto che là fuori, nelloscurità, qualcuno ti sta parlando e sta aprendo le porte più nascoste del proprio Io. "This time youve learned that love is just a slave to where the hearth beat stronger".
A fare coppia con tanta bellezza cè un altro pezzo splendido, Driftin: appena un po più convenzionale nella struttura e nella melodia, ma di una intensità commovente. Liriche toccanti (When theres whine in your belly, Love rhytms in your tongue/For you are a woman, and each man has been too young ), discreto ed evocativo accompagnamento di chitarra, contrabbasso e percussioni. Sullinterpretazione di Buckley non occorre spendere altre parole.
Meno sensazionali, almeno a mio giudizio, gli altri due brani (sempre considerato che stiamo parlando di Tim Buckley e di un album come Lorca): tornano le percussioni a scandire il ritmo, e la voce di Buckley riacquista una libertà e una solarità, unenergia più vicina alle acrobazie di Starsailor che alle meditazioni introspettive di Lorca e Anonymous Proposition. Detto questo, I Had a Talk with my Woman è un delizioso quadretto folk, una dichiarazione damore regalata al vento e alla montagna; mentre con Nobody Walkin , il suo ritmo incalzante e linterpretazione sopra le righe di Buckley vediamo concludersi il viaggio iniziato con il glaciale minimalismo della title-track, per avventurarci già dentro ai confini di quella musica che pochi mesi più tardi si sublimerà nel capolavoro Starsailor.
Pare tuttora incredibile come Buckley sia riuscito a far coesistere in un così ristretto arco temporale lelaborazione e la registrazione di tre album così diversi: Lorca (ultimo lavoro per la Elektra) venne registrato prima di Blue Afternoon (primo disco auto-prodotto e primo a uscire per la Straight Record di Zappa e Cohen) ma pubblicato dopo, agli inizi del 1970. Sei mesi, ed ecco venire alla luce Starsailor, forse lapice di un percorso che si era già fatto straordinario sin dal 67 con Goodbye and Hello, ma che secondo il sottoscritto trova in Happy Sad e Lorca due vertici forse insuperati del cantautorato mondiale: ancor prima di esplorare le stelle Tim Buckley aveva esplorato come nessuno in musica i due volti del suo Essere più profondo. Musica che riesce a toccarti e a comprenderti, a dare un suono e una voce ad un mondo altrimenti ineffabile.
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