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R Recensione

7/10

Bushman's Revenge

Jitterbug

Dling-dlong! Un annuncio alla popolazione: la Norvegia potrebbe essere un side-project di qualche altro paese. Cosa, sennò? A cercare informazioni su Internet non ci si raccapezza mai del tutto. Scongeliamo dall’archivio, per meglio spiegarci, quei Bushman’s Revenge messisi in luce, appena l’anno scorso, con il pirotecnico impro-noise di “You Lost Me At Hello”, cacofonia stoner gentilmente squassata da torpediniere funk e genuinamente jazzata: di un jazz duro, funambolico, inestricabile, ovviamente. Evidenziate, in maniera scolastica, le correnti madri di questo suono ostico ed incorruttibile, rimaneva soltanto il dubbio principe: l’origine del gruppo. Scoprendo ciò che, tutto sommato, già si poteva intuire: progetto parallelo del chitarrista degli Shining, Even Helte Hermansen, direttamente dal cuore industriale e ctonio della Scandinavia. Giusto per metterci nei panni di Rubik, aggiungiamo che anche loro si sono formati in seguito ad un distaccamento dagli Jaga Jazzist. Un’unica, grande famiglia: dal cerchio non si scappa.

Si può invece sfuggire, come ben dimostra “Jitterbug”, dalla facile tentazione rumorista e dai gorghi di suono accatastati uno sopra l’altro. Appare manifesto, già dall’attacco di “Always In Motion The Future Is”, il voler alternare con una maggiore continuità i frastuoni distonici di scuola Coleman ad infuocati fraseggi hendrixiani, trasformando dieci intensi minuti in un vero e proprio campo di battaglia, disseminato di mine, dove le chitarre esplodono in mille frammenti di torrido hard rock ingozzato di wah wah ed estro visionario alla “Voodoo Chile”. Un azzardo riuscito poiché, venendo meno la necessità dello sperimentalismo, il gruppo mette a fuoco alcuni degli episodi più divertenti della loro, seppur breve, carriera. Gran merito della media ascoltabilità del disco va indubbiamente a “Kill Your Jitterbug Darlings”, math fracassone sulla scia dei Don Caballero aperto da un memorabile riff scippato agli Iron Maiden (roba che non si sentiva dai Dub Trio!). Eclettismo e varietà si rincorrono frenetici per tutto il platter, ammantandosi di un’aura a tratti cattiva, nell’avanzare quadrato di “Damage Case (Happy Go Lucky Karaoke Version)”, altrove molto psichedelica (il soffuso blues di “Personal Poltergeist”, la degenerazione minimale dei Motorpsycho: sempre lì siamo!).

Non c’entrano assolutamente nulla con Carl Stalling, men che meno con John Zorn. Eppure, come modo di procedere, fra costruzioni armoniche, songwriting giunto con invidiabile compattezza alla prova del nove e catarsi noise da ghigno sulle labbra, i Bushman’s Revenge potrebbero seriamente candidarsi per una soundtrack della seconda generazione dei Looney Tunes, magari zeppa di cadute, incidenti, ruzzoloni, onomatopee. “Professor Chaos” riesuma i primi Melvins della vecchia “Count The Holes In Your Head”, diluendoli in un putiferio disarticolato. “Too Old To Die Young” (geniale!) procede per sottrazione, con una ragnatela di arpeggi che s’infittisce pian piano col passare dei minuti. Dopo aver regalato champagne in barrique per i loro migliori amici, la band si congeda infine con un’altra grande pacificazione in pentatonica, una “Waltz For My Good Man” dal notevole spessore melodico. Lasciandoci vagamente stupiti e pronti, senza nessuna remora, a ripartire dall’inizio.

Ah: e smettetela di ballarlo, quel cazzo di jitterbug!

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