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R Recensione

7/10

Dwiki Dharmawan

Pasar Klewer

Va innalzata una lode a Leonardo Pavković, patron della Moonjune Records, per la sua inesauribile volontà di cercare e valorizzare talenti musicali ai quattro angoli del pianeta, svelando alla curiosità ed all’interesse degli ascoltatori inusitati panorami jazz e fusion provenienti da Uruguay, Serbia o Indonesia, e creando le condizioni per collaborazioni con musicisti dell’area occidentale, che traducono in risultati concreti il concetto di globalizzazione. Dopo i lavori del chitarrista Dewa Budjana, la nuova uscita Moonjune è di nuovo dedicata alla scena jazz rock indonesiana, protagonista il pianista Dwiki Dharmawan con il suo trio completato da Yaron Stavi e Asaf Sirkis a basso e batteria, in compagnia di un nutrito gruppo di jazzisti fra i quali i chitarristi inglesi Mark Wingfield e Nicolas Meier, il sassofonista israeliano Gilad Atzmon, il pirotecnico vocalist bresciano Boris Savoldelli ed il maestro di percussioni gamelan Aris Daryono. Nel corso delle lunghe undici tracce dei due cd di cui si compone “Pesar Klewer” si ascolta davvero un po’ di tutto, dal jazz rock stile Mahavisnu Orchestra ad accenni di free jazz, da composizioni impostate su stilemi della tradizione indonesiana a composizioni più vicine al lessico jazz. Il tutto suonato con energia, trasporto e afflato lirico dal variegato gruppo, e condotto dall’approccio magmatico ed avvolgente del leader al pianoforte, nel quale si avvertono echi di Mc Coy Tyner e Chick Corea.

“Il suono distintivo della musica inserita nell’album, - spiega Dwiki Dharmawan -  deriva  da un antico sistema tonale Gamelan, chiamato Salendro, ma ho adattato insieme anche altri elementi musicali provenienti dall’arcipelago indonesiano, così come il sistema diatonico occidentale”.

Un mix che risalta in particolare in alcune composizioni, come la title track, “Tjampuhan” o Lir Ilir” dove sezioni corali tradizionali si alternano senza soluzione di continuità ad ondate di improvvisazioni post bop affidate, a seconda dei momenti, ai fati di Atzmon, al pianoforte di Dharmawan o alle chitarre di Meier e Wingfield. E se il clarinetto di Atzmon anima di colori ed umori medio orientali la sofisticata e scintillante ballad “Bubuy Bulan”, la parte finale del lavoro sembra indulgere maggiormente a formule tratte dal catalogo fusion, con “Frog Dance” che potrebbe uscire dal repertorio degli Steps Ahead, la nervosa “Life Its Self” echeggiante sonorità dell’onnipresente Pat Metheny e la ballad “Purnama”, che deborda pericolosamente verso territori di melmosa dolcezza.

Al nostro Boris Savoldelli il compito di animare in chiave jazz con la sua multi vocalità “Forest” di Robert Wyatt, tratta dal capolavoro “Coockooland”, qui presente anche in un’alternativa versione strumentale, e di punteggiare con vocalizzi e pirotecniche acrobazie vocali l’improvvisazione “London in June”: un omaggio alla città ospite delle sessions, all'etichetta che produce, ed insieme all’immortale composizione dei Soft Machine.

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