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R Recensione

7/10

Interstatic

Arise

Siete amanti delle iperboli chitarristiche di Frank Zappa, appassionati di ultra rock alla Steve Vai e magari pensate con nostalgia alle avventure jazz rock raccontate negli anni ‘70 da John McLaughlin e Tony Williams o Terye Ripdal? Qui, nella ribollente seconda prova degli Interstatic per RareNoise, troverete pane per i vostri denti, servito da un agguerrito trio nordico – Jacob Young alla chitarra, Roy Powell alle tastiere ed il piccolo grande batterista Jarle Vespestad – impegnato a rinnovare con sensibilità attuale e piglio da live session quelle formule e suggestioni sonore. Con importanti esperienze alle spalle (collaborazioni con Naked Truth, Lorenzo Feliciati, Jon Christensen, Tord Gustavsened, SuperSilent) e, per Young, un parallelo percorso in casa ECM, i tre Interstatic perfezionano con “Arise una  ricetta  sonora già abbozzata nel precedente omonimo capitolo: squadrati riff plasmati nel blues e nel funk, elettricità slabbrata e vertiginose scale di chitarra ed organo con una base ritmica incessante ma duttile.

Si parte appunto con il piede pesante da “Doozy Mugwump Blues”, omaggio alle creature mostruose del “Pasto Nudo” di William Burroughs, un blues chitarristico cadenzato che si apre progressivamente ad ampi spazi per le tastiere, seguita dalle frenesie elettroniche vintage e dalle atmosfere torride di “Caerbannog” (ricordate il periodo in cui Jeff Beck giocava alla fusion con Jan Hammer e pubblicava dischi come “Wired”? elevando un po’ la temperatura, siamo da quelle parti) .

Il seguito alterna numeri ora più vicini al jazz, come “Alpha Dog”, aperta da un tema spigoloso, dove la chitarra di Young smette effetti e distorsioni e fraseggia fluentemente in tandem con l’hammond, lasciando spazio anche ad alcuni  breaks di Vespestad, ora al prog come “Iwato”, il cui paesaggio sonoro è costruito per progressive accumulazioni sul sincopato tema dell’organo, o “In the Beginning”, lenta e densa come un risveglio difficile, fino all’esplicito omaggio a Zappa di “Frank’ll Fix It”, che possiede struttura e sviluppo intricati e travolgenti come certe composizioni del compianto chitarrista di Baltimora.

Verso la conclusione arriva anche il meglio del lavoro: “Alexa”, aperta da un lussureggiante riff all’unisono, si sviluppa come una piccola jam session giocata fra gli effetti della sei corde e l’hammond di Powell, mentre l’intro roboante di chitarra ed organo di “Wonderfall” introduce in realtà al momento più rilassato del lavoro, con un bel solo di Powell prima della chiusura affidata alla reprise di “Doozy” in versione chill out, compressa ed immersa in una nebbia elettronica da cui emergono sinistri gemiti elettrici.

Dinamici, heavy e travolgenti, ma attenti alle sfumature: questi norvegesi hanno un fuoco elegante nelle vene.

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