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R Recensione

6,5/10

Kanaan

Double Sun

Nuovi talenti della jam hard rock crescono. All’ombra della sempre solerte El Paraiso, del cui roster abbiamo negli ultimi anni seguito nascita e maturazione dei bravi danesi Mythic Sunship, si aggiunge il nome del power trio norvegese Kanaan, esordiente appena nel 2018 col discreto “Windborne” (…sinful?) e già autore in questo 2020 di una doppia prova, le “Odense Sessions” registrate negli studi di proprietà di Jonas Munk dei Causa Sui e questo “Double Sun”. Se la prolificità è in linea con l’identikit del gruppo medio di El Paraiso, a far spiccare i Kanaan sono, piuttosto, delle capacità tecniche molto superiori alla media, che consentono alle lunghe improvvisazioni di evolversi armonicamente persino oltre il jazz, in direzione fusion: una tendenza alla raffinatezza stilistica che caratterizza tutto il materiale di “Double Sun” e che ne costituisce al contempo croce e delizia.

Assolutamente spettacolare il primo quarto d’ora: la maniera in cui il possente pattern di batteria di “Mountain” (curiosamente cofirmata anche dal pianista Vegard Lien Bjerkan e dal bassista Hallvard Gaardløs, già in Orango e Spidergawd) irrompe tra gli intensi riverberi psichedelici della malinconica West Coast di “Worlds Together” è un colpo di classe da autentici manuali. Il brano è un’esplorazione heavydelica di tutto rispetto, in cui la voce narrante, la chitarra in libertà di Ask Vatn Strøm, dipinge ghirigori acidi e astrali ricongiungimenti melodici, si incunea negli sdoppiamenti spaziali fittiziamente ricreati dall’organo di Ingvald André Vassbø e si tramuta infine, in coda, in un incandescente cerbero hendrixiano. Per quello che la band avrebbe da dimostrare, potrebbe anche finire qui. Invece la tracklist prosegue, non senza qualche sussulto di disomogeneità qualitativa: piuttosto noiosetto lo space-boogie della successiva “Öresund”, mentre la prima parte della title track, dove compare per la prima volta la chitarra aggiuntiva di Bjørn Klakegg, indugia un attimo di troppo nell’astratto build up – tra Sun Ra e John McLaughlin – che conduce poi all’esplosione stoner del voluminoso riff portante. A dover scegliere, decisamente migliore la seconda parte, kraut-oriented, che esibisce dei bei synth e delle sovrastrutture hard-garagistiche di scorticante impatto.

Teneteli d’occhio. Potrebbero stupire.

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