Mary Halvorson Quartet
Paimon: Book Of Angels, Vol. 32
Dopo dodici anni e trentadue uscite, il canzoniere Book Of Angels (avventuroso seguito delloriginale Masada) può dirsi finalmente completato. Se, allepoca, il gran cerimoniere Jamie Saft alla guida di un trio comprendente Greg Cohen al basso e Ben Perowsky alla batteria era stato chiamato ad aprire le danze con il suo Astaroth, ora è un altro hot topic di lusso della Grande Mela formato jazz ad accompagnare il sipario: Mary Halvorson, virtuosa chitarrista classe 1980 a capo di svariate formazioni a suo nome (dal duo allottetto) e già collaboratrice di numerosi nomi intersecanti la galassia Tzadik (Marc Ribot, Jessica Pavone, Tim Berne, Ches Smith i più noti). Paimon nome di uno spirito androgino onnisciente che apparirebbe in groppa ad un cammello è un lavoro interessante sotto molti punti di vista. In prima istanza, perché segna lesordio ufficiale della Halvorson per il catalogo delletichetta di John Zorn (le apparizioni precedenti erano in backing bands di dischi attribuiti ad altri musicisti). In secondo luogo, perché rarità per gli ultimi Book Of Angels su dieci brani ben quattro quinti sono assoluti inediti (ciò che doveva essere ancora registrato dei complessivi 316 composti da Zorn nel 2004). Infine, perché i capitoli consacrati alla preminenza delle chitarre (o a gruppi da esse trainati) sono, con questo, solamente tre, gli altri due essendo stati marchiati a fuoco da due sei corde assolutamente sui generis (il settimo Asmodeus di Ribot, 2007, e il più recente, ventesimo Tap di Pat Metheny, 2013).
Non inganni lelegiaco klezmer notturno di Rachmiah che, come da protocollo, sigilla il disco in punta di piedi: il quartetto della Halvorson, pur non oltrepassando mai i limiti dellinvadenza, suona musica corrusca e difficile, arzigogolata e angolare. Alla melodia Mary preferisce di gran lunga la distonia, allincontro lo scontro, alla linea retta la spirale. In Beniel, ad esempio, il lirismo della frase principale viene distrutto da un torrenziale scambio di battute clean-distorted col compagno di merende Miles Okazaki, una sezione di piroclastico free jazz che sconfina nel noise: Yeqon già sentita nel diciassettesimo Caym dei Banquet Of The Spirits di Cyro Baptista, A.D. 2011 si trasforma in unasfittica intersezione di sezioni ai limiti della fusion; e del resto, già il contagioso passo di samba delliniziale Chaskiel si sfilaccia in un trionfo di cacofonie e fraseggi non consequenziali. Non tutto è necessariamente ostico (Verchiel, ad esempio, è un buon lento sulla scia del Ribot di Bar Kokhba ed Electric Masada), ma spesso cè bisogno di andare più in profondità per cogliere lessenza dellinterpretazione: si ascoltino le sincopi asfittiche che spezzano il passo arab di Dahariel, gli scaglioni chitarristici che sopraggiungono a folate in Uzza (come dei Crimson intontiti in sinagoga: tuttaltra cosa rispetto alla versione incisa dal quartetto di Ben Goldberg nel 2010 e contenuta nel quindicesimo Baal) e i fendenti di rumore bianco che sgretolano la rigida atmosfera sacrale di Phul.
Quandanche un po faticosa, Paimon è unuscita che vale la pena prendere in considerazione, aldilà di ogni mania di completismo se non altro come adeguato trampolino per partire in esplorazione della ricca discografia solista della Halvorson. Nel mentre, sullorizzonte Tzadik, si è già materializzata la prossima impresa: il sontuoso box set in dieci dischi (più uno antologico) che racchiude i novantadue brani del terzo canzoniere The Book Of Beriah. I nomi degli esecutori? Già li conoscete: Cleric, The Gnostic Trio, Riley & Lage, Klezmerson, Secret Chiefs 3, Zion80
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