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7/10

Red Kite

Red Kite

Il fatto che, prima o poi, i musicisti norvegesi arrivino a conoscersi tutti motiva forse questa loro innata e per certi versi bulimica capacità di condividere a getto continuo progetti sempre nuovi, il cui solo difetto è quello di durare mediamente troppo poco rispetto al potenziale dimostrato. Sembrano fare eccezione i Red Kite, un superquartetto di lusso comprendente tra gli altri (ex) membri di Shining, Elephant9 e Bushman’s Revenge, che arriva all’omonimo esordio con uno scarto di cinque anni rispetto alla fondazione della ragione sociale e a quasi tre dall’effettiva registrazione dei pezzi che compongono la tracklist. Sebbene il disco, stretto a sandwich tra le innumerevoli uscite di band madri e side project coltivati da ogni membro (i soli Elephant9 del batterista Torstein Lofthus hanno aggiornato il curriculum al 2019 con due LP di livello, i due volumi di “Psychedelic Backfire”), rischi di passare quasi inosservato, vale invece la pena marcarlo da vicino.

Non si fa in tempo a prendere un gran respiro che già l’opening act, autentico atto di coraggio, si getta nelle tenebre dell’ignoto: i Red Kite mettono le mani su “Ptah, The El Daoud” (dal meraviglioso omonimo disco di Alice Coltrane del 1970), conservandone giusto la trascinante linea di basso portante e la head melodica originariamente suonata dai sax di Pharaoh Sanders e John Henderson (qui reinterpretata dalla chitarra di Even Helte Hermansen). Il risultato, sebbene non nuovissimo per i cultori della scena, è comunque entusiasmante: l’esplorazione cosmica originale si trasforma in un’incendiaria jam jazz-noise, le cui fibre strumentali si sfilacciano e ricompongono a piacimento. Quelle dei Red Kite sono, a tutti gli effetti, composizioni jazzistiche (e quindi inerentemente post-crimsoniane, come per l’oscuro riff segmentato di “13 Enemas For Good Luck”) sprovviste di una sezione di fiati, che nei momenti di maggiore fisicità alzano il contagiri del virtuosismo (il vertiginoso e a tratti stucchevole assolo tastieristico di Bernt André Moen tra le maglie dello strapotere ritmico di “Focus On Insanity”) e che mai per un momento, nemmeno nei frangenti di scarico contemplativo, abbassano la guardia (la deliziosa e delicata frase chitarristica di “Flew A Little Bullfinch Through The Window” danza su di un groove swing sul punto di esplosione).

Mai fuori posto, nonostante la volumetria dell’esibizione muscolare, e con una conclusione noiredelica di grande fascino che sembra uscita dalla penna di Nels Cline (“You Don’t Know, You Don’t Know”). “Red Kite” è un disco che potrà piacere anche a chi non è aduso alla frequentazione di certi territori.

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