Tortoise
The Catastrophist
Un Escher dannata presuppone radicata illogicità nella complessità. Si coglie a colpo docchio la presenza di una profonda irregolarità, ma se ne distingue la natura solo dopo aver isolato, dalla matassa, singoli elementi perturbanti: come disgiungere lelemento fisico dello sparo dalla sua propagazione acustica, il danno diretto e posteriore di un colpo. È perlomeno curioso che siano proprio i Tortoise a reclamarne idealmente leredità, giacché la loro musica pur nei tratti essenziali di equiscomponibilità e superiore meditazione armonica non può davvero definirsi grottesca, né tantomeno irrealizzabile. Tutta la loro carriera sta a testimoniare che è il modo innovativo con cui si cominciarono a miscelare addendi già perfettamente noti ad aver costituito la portata rivoluzionaria di Tortoise e Millions Now Living Will Never Die: un metodo freddo, razionale e raziocinante ad un tempo, tenuto imbrigliato e sotto controllo dai primi attimi della sua genesi alle ultime scintille di vita propria.
Limpossibile Frankenstein (il vero 21st century schizoid man?) sbattuto sulla copertina del loro lavoro più pulito ed accessibile di sempre, poi! Sembra quasi che The Catastrophist la voglia mettere giù contrastata e indifferenziata a partire da un mero piano semiotico: suggerire una disarmonia surrealista che non cè, creare e montare aspettative ad hoc che non verranno mai soddisfatte. Sta forse nel riassestarsi di questa comunicazione metatestuale il punto di forza di un disco che, se non fosse stato per linsistenza della municipalità di Chicago, avrebbe potuto non essere mai scritto già il precedente Beacons Of Ancestorship era giunto imprevisto, come dono dal cielo. Molte cose sono cambiate, in sette anni, e lo status dei Tortoise, similarmente ad altri compagni di viaggio degli anni 90, sta scivolando a velocità crescente verso il semplice sillogismo di idolatria (hanno fatto questo e quello: pochi idoli hanno fatto questo e quello; ecco che possono entrare nel pantheon). The Catastrophist si propone allora, in secondo luogo, di rompere la catena dellimmobilismo nel presente che la consacrazione alla storia fatalmente genera: la band esiste qui ed ora, ancora dotata di questi mezzi.
Di quali mezzi, vi chiederete? Per fare un passo avanti bisogna, anzitutto, farne uno indietro, tornare sui luoghi del crimine di cui molto si è parlato e perdersi, dolcemente, in serratissimi frattali synth-prog (Gesceap). Da qui in avanti, tutto è permesso. A smembrare un brano come Rock On, con il piglio dissacrante del maniaco seriale e la voracità retrospettiva delletimologo, ci hanno provato in tanti: ma rendere il drogatissimo David Essex delloriginale uno strampalato cyborg funk (con la voce di Todd Rittmann degli U.S. Maple) non è alla portata di tutti. In Yonder Blue unaltra ugola, quella incerta e splendida di Georgia Hubley degli Yo La Tengo, rompe i confini spaziotemporali del teorema che vedeva i Tortoise allergici allelemento vocale: è una detonazione soffice e straniante, come se un singolo paisley underground finisse schedato in una discografia library. In At Odds With Logic, riverberi accecanti saturano il vuoto assoluto individuato dalla ritmica di Doug McCombs (taglio assai particolare, riuscitissimo), prima che un fuzz primordiale sommerga tutto: The Clearing Fills, contemplativa strumentale jazz sorretta, con gran gusto e discrezione, da un metronomico beat elettronico, sceglie di esplorare laltro lato del silenzio.
In questa distinta enumerazione si colgono parimenti attrattiva e fragilità di The Catastrophist: instillare la cerebralità in uneterogeneità, se possibile, ancor più voluta e pronunciata di quella di Beacons Of Ancestorship. Non è troppo astruso, forse, il richiamo alluomo componibile: ogni brano proietta la propria ombra sul mattone in dote, futuro collante dellintero edificio. Polifonia, allora, terza importantissima funzione, variabile che salva dallo scontro frontale le giustapposizioni bandistiche nel post rock sintetico della title track e la fusion mutante di Ox Duke, la dinoccolata cassa dritta dello space funk di Hot Coffee e le durezze chitarristiche (rasentanti, a tratti, unepicità fuori luogo) che infiorettano le atonalità manifeste di cui è infarcita Shake Hands With Danger. Crescono i piani su cui si dispongono le contrapposizioni, dando vita ad un sistema a tratti sinceramente stucchevole (Tesseract), ma ancora ricco di slancio e dinamismo.
Il quadro generale di The Catastrophist, nonostante la smaccata fruibilità di ogni singolo passaggio, appare piuttosto complesso nellinsieme: nientaltro che la marca Tortoise nuovamente allo scoperto.
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