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R Recensione

7/10

dUASsEMIcOLCHEIASiNVERTIDAS

4

E mo’, ora, che succede? Di che si parla? Jazzcore from Portugal… Roba da pazzi. Il differenziale di rendimento decennale tra i titoli di stato portoghesi ed i bund tedeschi fa la barba al palo dei 1000 punti (noi stiamo malissimo già attorno ai 300) e questi si permettono pure di snobbarlo, di suonarci su. Inconcepibile. Largo alla creatività? Ma nemmeno per sogno. Lavorare, bisognerebbe, lavorare sodo e di polso, lavorare senza tregua giorno e notte, lavorare a capo chino e sperare che lo spread perda la sua formidabile erezione, che i mercati finanziari abbiano pietà di noi così come Dio ce l’ha dovuta avere per duemila e passa anni, che l’esecutivo socialista di Socrates fucili col battaglione d’ordinanza tutti quei cazzari di pescatorucoli da due soldi – che lentezza, Oporto, che vecchiume, Lisboa, che agèe, Coimbra, che fuori luogo, Fátima –  e stringa la cinghia, affami il paese, ingozzi il becco dell’Europa fino all’esplodere degli stomaci.

La borsa non ha tempo per la musica, non almeno per quella dichiaratamente a perdere, e figuriamoci se quegli otto parassiti dei dUASsEMIcOLCHEIASiNVERTIDAS – con quel nome in quella grafia, poi: una traduzione italiana sommaria darebbe “due semi ottave invertite” – potranno mai guadagnarci qualcosa dalla loro arte. Bastardi senza gloria, protagonisti derelitti ed antieroici dei fado del nuovo millennio, strimpellati nelle bettole ed amplificati dai fondi di scadenti bottiglie di Porto. Sperando che il vetro, a prova di elettrificazione, assorba a sufficienza le vibrazioni e non vada in pezzi al primo, fragoroso, cartoonistico russare di “33 Anos Sem Dormir”, una terribile rievocazione delle contorsioni di James Chance stritolate in un inferno di chitarre no wave, fuzz apocalittici, risvolti funk (che i musicisti all’opera abbiano mai ascoltato Deodato?) e tonitruanti stop&go ritmici. Non esattamente una rivoluzione dei garofani. Piuttosto una battaglia campale ingaggiata con il ghigno sulle labbra e nessun timore reverenziale dipinto in fronte.  

Gli studenti inglesi hanno coccolato le loro velleità di ribellione sulle note degli Smiths, ai nostri ragazzi – quando è andata bene – sono toccati gli Zen Circus, o – quando tirava male – obbrobriosi paragoni con la peggiore muffa dancehall. Universitari di Coimbra, unitevi: la vostra colonna sonora potrebbe rispecchiarsi, alla perfezione, in “4” dei dUASsEMIcOLCHEIASiNVERTIDAS. Che è un disco accademico, per l’appunto jazz nell’accezione formale e puntuale del termine, e pur tuttavia privo di ogni reticenza nell’andare contro l’accademia e rovesciarle violenti sberloni in pieno volto: un po’ come imbrattare la stretta di mano tra Monti e Angela Merkel con secchiate di acquaragia. Spiantati sì, ma con stile, e tante, tante idee in corpo. Persino l’Italia, che del genere ha scritto – e continua a scrivere – intere e gloriose pagine, può imparare qualcosa dall’assetto formale dell’ottetto lusitano, ben poco propenso a forzare la composizione sull’asse pirotecnico dei Naked City (lontano e, a tratti, fumoso ricordo in lontananza) e più oculatamente coinvolto in imbastardimenti polisemici tra speziature indigene – le traiettorie chitarristiche di “Amargana”, insozzate da frastuoni elettronici, inserti vintage di tastiera, singhiozzi per sax – e strepitose frenesie espressionistiche, nelle quali la Grande Mela torna ad essere la tana di Lydia Lunch, il covo di freak di cui aver paura (i bicchieri che volano in frantumi di “Corta-Unhas”).

Solo in conclusione, con l’impegnativa circolarità dei ventuno minuti di “Movimento Que Vai E Vem De Um Ponto A Outro” (adrenalinico impro-noise in continua tensione ritmica e scarichi laterali di seducenti scorie morphiniche), la faccenda sembra diventare affare per pochi. Impressione quanto mai sbagliata, perché se “4” ha un pregio è proprio quello di non arroccarsi sopra sterili sperimentalismi, imprimendo perpetuo movimento ad un magma sonoro spuntato sopra formine exotic-bop (la stupenda “Encefalia Espongiforme”), crescendo à la Gutbucket – “Feng Chui”, con liberatoria detonazione punk delle chitarre – ed inserti sottocutanei di flauto traverso frammezzo a torture rumoristiche ed inquietudini post-punk (“Nacho Vidal”).

4” esce in vinile, coprodotto – tra le decine di etichette – anche dalla Eclectic Polpo Records, ennesima sigla dietro alla quale si nasconde il formidabile intuito dei nostrani Luther Blissett. Anche loro gente, superfluo sottolinearlo, che di Wall Street e degli swap non sa proprio che farsene.

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fabfabfab alle 18:46 del 31 marzo 2012 ha scritto:

Ah però, che gradevole mazzata in faccia!