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R Recensione

6/10

Mombu

Mombu

Three musicians is megl che uàn. Dei tre, il più furbo ha deciso – giustamente – di pacificarsi una volta per tutte con l’estratto conto bancario e di girare il mondo con il bpm tecnanalogico nel cuore. L’altro, non avendo niente di meglio da fare, ha chiamato degli amici e si è messo a sferragliare con effetti e distorsioni, per il gusto di fare due orecchie così all’astante di turno senza scopi ulteriori. L’ultimo non è rimasto a guardare, si è comprato un paio di maschere voodoo e ha assoldato il collega Antonio Zitarelli dei Neo, già incrociato sui palchi per il vecchio progetto Udus. Le tre anime di uno dei più straordinari gruppi italiani degli ultimi dieci anni, gli Zu, in concomitanza con la loro pausa e la (fuoriuscita? buonuscita?) di Jacopo Battaglia – fatele voi, le x date in funzione logaritmica del Carboniferous Tour – decidono di accantonare l’amalgama tutto e di assecondare ciascuno i propri impulsi: a ruota libera, l’elettronica orgiastica, la siderurgia applicata, il free jazz sciamanico. A cosa porteranno queste scelte, lo si vedrà in futuro. Concentriamoci ora sul primo di questi bersagli.

Mombu è la sigla dietro cui si cela – lo avrete capito – il sax baritono di Luca Mai. Un progetto degno di attenzione, aldilà dei nomi coinvolti, perché scatena subitamente una ridda di questioni cruciali legate a doppio filo al processo di ispessimento e metallizzazione del gruppo madre. La sezione fiati, in particolar modo nelle ultime tappe evolutive, era sembrata spossessarsi in maniera quasi viscerale del caratterizzante melismo delle prime prove, andando anche oltre le semplici parabole anarco-jazz ed allineandosi all’insistito tribalismo di basso e batteria, con la sostanziale riduzione delle armonie melodiche in armonie pulsive ed una perdita di rilevanza caratteristica nell’amalgama conclusivo. Il primo dubbio – se fuori dai vincoli imposti dallo stile di Pupillo e Battaglia il sax di Mai abbia cercato di aprirsi nuove strade – è destinato ad essere deluso. Anzi: alimentato. Razionalizzando sino in fondo “Mombu”, è proprio l’elemento percussivo a dominare la struttura dei brani: ripetizioni avvicinate di piccole celle strutturali annegate in una serie infinita di micro variazioni ritmiche.

L’occasione per un’ulteriore cambio di rotta è stata – volutamente? – elusa. La scelta orientata decide il futuro e la longevità dell’intero disco, in almeno due passaggi differenti. Sacrificando la stratificazione al battito, si riduce all’osso la possibilità di vedere impiegato un qualche pluristilismo: in altri termini, le soluzioni a portata di un duo peraltro così logisticamente limitato sono, anch’esse, ancora limitate. C’è da dire che Zitarelli è pur sempre un ottimo batterista, e a tratti i risultati non sono poi così distanti dai migliori numeri degli Zu: “Stutterer Ancestor” è la classica nenia in torsione sparata con la forza di un proiettile, la marziale “Orichas” viene letteralmente traforata dalla forza delle percussioni (collabora Jorge Castillo, strumentista cubano) e di un marmoreo sostegno sassofonistico. Il rovescio della medaglia è che, pur rischiando qualcosa sul versante di un monocromo one dimensional beat (“Kemi”, la sferzata sludge in coda a “Ten Harpoon’s Ritual” ne sono un esempio), interessanti soluzioni di continuità stranamente psichedelica vengono impiegate nell’accostamento di pelli dalle timbriche differenti, in grado di ingigantire la prospettiva del brano e sottoporlo ad un nuovo giudizio a tutto tondo. Sicuramente splendida “Regla De Ocha”, con le sue lunghe tornate di soli bonghi, tamburi e m’bira, altrettanto buona “Radà” e le occasionali rimembranze morphiniche, prese a sberle in una rigorosa, sbilenca costruzione geometrica.

Mi piacerà raccontare che razza di forza della natura erano gli Zu, ai miei tempi, se un giorno dovessi avere dei nipoti. Molto più difficilmente mi ricorderò dei Mombu. Ma siamo solo al primo atto: vogliamo non dare tempo e fiducia?

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Voto degli utenti: 7/10 in media su 1 voto.
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C Commenti

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fabfabfab (ha votato 7 questo disco) alle 12:47 del 21 giugno 2011 ha scritto:

Visti Domenica sera dal vivo. Spaccano. Alla fine del set era tutto sfasciato: la batteria, gli altoparlanti, i miei timpani... Il batterista ha una forza disumana. Sono più tribali ed essenziali degli Zu, sarà questo che mi affascina?