V Video

R Recensione

7/10

John Zorn

Inferno

Ah, questo benedetto diavolo, sempre a metterci in mezzo la coda… Damy i gospoda, Simulacrum, third act. Dal titolo, roboante, quasi definitivo nel suo autoesplicarsi, si potrebbero subodorare peste e corna (per l’appunto!), violenze sonore tali che i precedenti “Simulacrum” e “The True Discoveries Of Witches And Demons”, al confronto, sbiancherebbero. Nulla di tutto ciò. D’altro canto, en passant, forse che anche Meat Loaf non era un pipistrellone troppo cresciuto e sgusciato fuori dall’Ade non una, ma ben tre volte? Similarmente, l’“Inferno” zorniano – ispirato all’omonima opera, datata 1897, del controverso letterato ed occultista svedese Johan August Strindberg – vede il ritorno allo schieramento originario, senza ospiti aggiuntivi, per un’interpretazione a suo modo classica, rock nel suo senso più ampio, depurata dalle scorie acide ed urticanti dei capitoli precedenti.

Certo, Matt Hollenberg rimane cliente tutt’altro che semplice da addomesticare: in “Blasphemy” – l’attorcigliamento free jazz di turno, con schizofreniche partiture fra thrash metal e dodecafonia – la sua chitarra è una sega elettrica impazzita e incontrollabile. Certo, Kenny Grohowski appare ancora pienamente a suo agio solo quando c’è da menare colpi all’impazzata, mulinando gambe e braccia sino allo sfibramento: per cui, in brani come “Pariah”, si sente la mancanza di un batterista forse meno tecnico, ma dotato di un più ampio ventaglio di soluzioni comunicative, come Joey Baron o Kenny Wollesen (non aiuta granché considerare come il brano sia, sostanzialmente, una riedizione rumorosa degli Abraxas di “Psychomagia”, tra surf rock e prog metal d’accatto). E, certo, John Medeski, il pelato poco raccomandabile della situazione, è unico nel donare groove ad elaborate costruzioni per organetto che, spesso e volentieri, collassano in una maligna – ma solo apparente – anarchia formale, tanto che parrebbe impossibile pensare di poterle controllare (accade nell’iniziale “Dance Of Death”: sarà forse una suggestione favorita dall’omonimia, ma è un attimo risentirci gli Iron Maiden barocchi e progressivi delle ultime prove, “The Book Of Souls” nello specifico, convertiti al verbo klezmer). La sensazione complessiva, tuttavia, dopo il cervellotico affronto alle distorsioni e il completo knock-out forza cinque, è quella di assistere al lato più estetico ed edonistico dei Simulacrum: che mai si dimenticano di aggredire l’ascoltatore, intendiamoci, ma lo fanno ora con la raffinatezza di un Hero, più che con la sporca filigrana in sovraimpressione di un Violent Cop (rendendo possibili le infiltrazioni cripto-AOR nel furibondo math-core di “The Powers”, o i call-and-response funk di “Ghost Sonata”, un assolo elettrico di Medeski sullo sfondo di un arcigno mono-riff di Hollenberg).

Arriviamo, quindi, alla portata principale, l’imponente suite omonima (21:15) posta al centro della tracklist. Nel parlare di “The Illusionist” e “The Divine Comedy”, i due lunghi brani di “Simulacrum”, non dimostrammo particolari remore nel rivangare lo straordinario ascendente della composizione a blocchi tipica dei game pieces e delle file cards. Ci dobbiamo ripetere: anche “Inferno” viene collaudata in modo da poter essere composta e scomposta in tasselli di intuizioni timbriche ed umorali, a piacere. Assai evocativo il primo (fino a 4:05), un “The Hermetic Organgoth-prog dall’oscuro fascino magnetico e dallo spiccato grandangolo cinematografico (a John Zorn devono piacere i Goblin): da lì in poi, una disordinata alternanza di carillon klezmer, brutali assalti metallici, romantici ripiegamenti chitarristici (quante volte abbiamo sentito il riff che parte a 10:50, e quante volte ci piacerebbe sentirlo ancora?), lunghe parentesi ambientali (le stesse dei Naked City di “Grand Guignol”), sino ai cinquanta, meshugghiani secondi conclusivi. L’intrinseca bellezza delle trame catalizza l’attenzione dell’ascoltatore ad ogni rivolgimento di fronte, evitando il rischio – connaturato, e a tratti concretizzatosi in “Simulacrum” – della dispersione.

Inferno” è il sigillo di fuoco dell’esperienza Simulacrum, così giovane eppure già così entusiasmante. A cercare il pelo nell’uovo, comunque, preferivamo la formazione allargata del precedente “The True Discoveries Of Witches And Demons”, parimenti compatta e letale. Che un prossimo, ipotetico quarto disco non veda la discesa in campo del factotum in persona?

V Voti

Nessuno ha ancora votato questo disco. Fallo tu per primo!

C Commenti

Non c'è ancora nessun commento. Scrivi tu il primo!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.