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R Recensione

8/10

John Zorn

The True Discoveries Of Witches And Demons

Quaranta minuti di lividi e cazzotti agitati a destra e a manca e poi, inaspettatamente, il cerotto. Il sorriso. La conclusione romantica. Così si concludevano le convulsioni dodecafoniche di “Nova Express”, uno dei parti metartistici (da leggersi: dischi ispirati da opere letterarie, Burroughs in questo caso) più brillanti dell’ultimo lustro zorniano: con la romance pianistica di “Between Two Worlds”, il baffo di Matisse su una Gioconda malmessa, cubista, derisa. In “The True Discoveries Of Witches And Demons”, seconda prova, ad appena cinque mesi dall’omonimo debutto, dei fenomenali Simulacrum, misticismo e demonologia soppiantano allucinazioni e benzedrina, ma il coniglio estratto dal cilindro è della stessa schiatta. “Mirrors Of Being” sarebbe, già di suo, un brano eccezionale: un intensissimo studio sulle armonie immacolate dello Gnostic Trio (Carol Emanuel, Bill Frisell, Kenny Wollesen) applicate all’incontro e all’intreccio di due chitarre su raffinate scale armoniche di quinta, ad una sezione ritmica lontanissima dall’evanescenza originaria e, soprattutto, alle fughe speziate dell’organetto di John Medeski. Risalta ancora maggiormente se paragonato e messo a confronto con quanto viene prima: una babele math-core di potenza ed ispirazione ineguagliabili.

Rispetto alla costruzione speculare di “Simulacrum” (brano lungo d’apertura, una serie di pezzi centrali di media durata, brano lungo di chiusura), esteticamente nobile ma ancora poco funzionale sotto il profilo squisitamente musicale, “The True Discoveries Of Witches And Demons” propone due correttivi in corso d’opera: un minutaggio contenuto e, soprattutto, l’allargamento della formazione a cinque elementi, con le temporanee entrate di Marc Ribot (ad affiancare Matt Hollenberg alla sei corde: una scelta che ricalca quella di “The Crucible” e “Ipsissimus”, nella saga di Moonchild) e Trevor Dunn (ad infondere rinnovata linfa e nuovo spessore ai mulinelli batteristici di Kenny Grohowski). La varietà di soluzioni è persino imbarazzante. “Strategies” è un inappuntabile klezmer chitarristico da freshmen di Princeton, lambito dalle furoreggianti fiamme dell’Electric Masada. Il post-core luciferino di “Psychosoma” viene ravvivato da contrappunti noise che potrebbero avvicinarlo a dischi come “Valentine’s Day”, senza eccedere tuttavia nella distonia. “The Power Of The Runic Symbols” si abbarbica attorno ad un rifferama che salta di tono e di signature con grande facilità. “The Gordian Knot” è un fuoco incrociato thrash dalla cubatura massimale. “Dark Sacrifice” sciorina paradigmi morriconiani con gelida imperturbabilità metallica e decorativismo goth (poco oltre, “Phantasms” vivrà di simili palpitazioni, sospesa tra nevrastenie dark ambient e laceranti chitarre blues). “Ecclesiastes”, in poco più di due minuti, rispolvera i Moonchild più acidi e contorti di sempre, quelli sgraziati e cacofonici del summenzionato “Ipsissimus”.

Verranno a mancare gli aggettivi, non l’ammirazione. Terrificante e sublime.

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