R Recensione

8/10

Adebisi Shank

This Is The Album Of A Band Called Adebisi Shank

Apri il loro MySpace e leggi: Adebisi Shank, IE (sta per Irlanda, of course). Generi: rock/tropical. E fin qui ci sta. Poi scopri che questo lavoro di pantagruelica, nonché nerdiana titolazione, dura appena ventitré minuti –il segno della pigra civiltà moderna?- ma, allo stesso tempo, non è un EP (ci avevano già pensato l’anno scorso: “This Is The EP Of A Band Called Adebisi Shank”). È un disco vero e proprio, un debutto perlopiù. Ci può stare anche questo. Eppure, come se non bastasse, ti viene spontaneo pensare che no, non può essere vero, dev’essere un progettino demenziale, oppure un qualcosa di bassa lega, un ennesimo gruppo di fracassoni noisers o, peggio ancora, di grindcorer senza arte né parte. Sbagliato: this is math rock.

Gli Adebisi Shank sono tre ragazzi che ci tengono a mettere le mani avanti. Abbiamo una chitarra, dicono, un basso, una batteria, e pure una montagna di pedali per distorcere il suono. Sappiamo di essere nati nel 2008, e quindi il discorso non è più come una volta: potremmo essere fagocitati da un momento all’altro nel classico maelstrom di formazioni emergenti, ma suoniamo della musica e ci teniamo a farvelo sapere. Ah: amiamo –e molto- i Don Caballero, e crediamo non ci sia niente di male se questa passione traspare da ciò che componiamo.

Fuoco alle polveri, allora: d’altro canto, cosa sono mai ventitré minuti? Se faranno schifo, verranno prontamente ricacciati nell’immenso folder dei nati dimenticati, e via col prossimo. Ma non si fa in tempo a formulare il pensiero interamente compiuto, che loro pensano bene di ricacciarti in gola tutto quanto con un’apertura scartavetrante come “You Me”, strambo math-core che mette insieme heavy metal, Sonic Youth, colate laviche di elettronica e (poche) vocine filtrate.

Se ne vuole ancora, decisamente ancora.

Ecco dunque che, dopo il botto al vetriolo, salta fuori l’intelligenza e la moderatezza degli Adebisi Shank. Invece di perdere il controllo della situazione, immergendosi in tanto lunghe quanto prolisse cavalcate sonore di dubbia fattura, rimangono pienamente padroni dei propri limiti ed infilano, una sull’altra, ulteriori sette, brevi tracce. Piccoli break fra un passaggio e l’altro, veloci ed essenziali cambi di tempo e melodia, frequentissimi stop and go, si amalgamano a formare un crogiolo in cui sono ben distinguibili mille influenze differenti, di certo passioni adolescenziali dei tre irlandesi.

Ma è l’utilizzo stesso dei vari generi a rendere davvero interessante il disco. C’è metal, parecchio, che sia esplicitato in maniera diretta (“Dodr” ha un tiro micidiale) o sia, al contrario, celato nella struttura dei pezzi: tuttavia, pur non potendone negare la potenza e l’incisività, viene opportunamente plasmato, modellato ed orientato secondo un archetipo compositivo marcatamente ballabile. C’è noise, ma le distorsioni non hanno carattere puramente decorativo, e nemmeno intento distruttivo in toto, bensì precisa finalità di disturbo. C’è, su tutto, un sacco di math anni ’90, soprattutto negli ottimi incroci strumentali, ma la sua presenza non è né invasiva né cervellotica. Anzi, è semplificata al massimo per potere sfruttare appieno l’irruenza propulsiva del power trio. Per chi li ascoltò a tempo debito, impossibile non farsi venire in mente gli Auto!Automatic!! (“Colin Shekan” e il suo basso hardcore, “Mini Rockers” coi suoi convincenti contro balzi ritmici).

Lavoro ridotto all’osso, questo “This Is The Album Of A Band Called Adebisi Shank”, eppure capace di meravigliare oltre ogni più rosea previsione: “Shunk”, cattivo post-punk in salsa kraftwerkiana, o ancora la varietà chitarristica di “I Answer To Doc”, potrebbero ben presto divenire punto di partenza fondamentale per la costruzione di un futuro saldo e glorioso.  

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V Voti

Voto degli utenti: 6/10 in media su 1 voto.
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rael 6/10

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