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R Recensione

8/10

Battles

Gloss Drop

L’urlo di Braxton, Tyondai Braxton, spaventava l’Occidente. Datemi un marshmallow e vi conquisterò il mondo!, ce lo si immagina a sentenziare con gli storditi dei suoi colleghi a ridere sotto i baffi. Un blob inarrestabile che cresce, si alimenta da sé, assume proporzioni pantagrueliche. Quel dolcetto è ora diventato una montagna che oscura il sole e proietta la sua ombra sugli astanti circostanti, compresi i suoi ideatori e scalatori. Ora l’urlo di Braxton, Tyondai Braxton, spaventa solo sé stesso. Il mio regno per un marshmallow!, sospira affranto: una riedizione vagamente Y2J della successione biblica di Esaù. Chi è stato lo sciagurato ad affermare che chi ben comincia è a metà dell’opera? Sarebbe stato meglio dire: lascia l’opera a metà. Così Braxton, Tyondai Braxton, se ne va, ed i sodali Konopka e Stanier si trasformano per un istante in Battles Caballero, i nonnetti arteriosclerotici da cui a suo tempo fuoriuscì proprio il talentuoso chitarrista Williams. La maledizione di chi stravolge il math avrebbe potuto ripetersi. Grazie a Pitagora, esiste un condizionale passato irreale in grado di smentire subito tra le righe l’ipotesi di chi anelava a mettere sulla graticola, ad appena (insomma) quattro anni di distanza, le menti eccelse a capo di “Mirrored”.

Per cui, ricapitolando: “Gloss Drop” è, tutto sommato, un travagliato seguito che ha subito innumerevoli vicissitudini e che, questo sì, corre perennemente il rischio di specchiarsi nei milieu paralleli più volte forgiati fra i colpi ad effetto di un predecessore, lo diciamo?, baciato da uno stato di grazia francamente irripetibile. Meglio andarsene ripetendoselo: irripetibile. Inutile cercare con il lanternino il coniglio gigante fuoriuscito dal cappello. “Mirrored” benedisse l’ascesi di una tra le più grandi band, formalmente e concettualmente, del Nuovo Millennio: “Gloss Drop” volta pagina e, per contraccolpo, si sforza incessantemente di trovare una nuova identità, di reinventare un nuovo spirito, di captare perciò i feedback di un nuovo gruppo ed i prodromi di uno stile nell’insieme consolidato – perché solo ed esclusivamente loro – e rinnovato nelle sue componenti più ludiche, giocattolose, disimpegnate. Con il divorzio da Braxton evaporano la decostruzione anarcoide, il colpo di biliardo, finanche una sovrapposizione di umori che ricercava nell’assurdo e nel paradossale la sua esistenza e mirava a distruggere, con cariche piazzate, l’accademia matematica di una musica ormai sul punto di cristallizzarsi. Rimangono anche, tuttavia, parecchi episodi di cui felicitarsi.

L’album è, come volevasi dimostrare, quasi interamente strumentale, e solo l’apporto di quattro ospiti vocali, peraltro fra loro diversissimi, permette una maggiore stratificazione di ruoli e sonorità. Matias Aguayo regala al singolo “Ice Cream” l’assassino tocco clubber che si sarebbe altrimenti perso nello sforzo collettivo di sintetizzare il disordine irrazionale di “Ddiamondd” ed il solido onirismo psichedelico di “Tij”. La dolce Kazu Makino è chiamata ad interpretare “Sweetie & Shag”, dimenticabile filastrocca elettro-pop sin troppo frivola e danzereccia. In “My Machines”, lucido delirio jungle abbarbicato attorno ad una potentissima linea di basso, Gary Numan adempie ai doveri di pontefice massimo dell’istante, seguendo da vicino la frenetica evoluzione del brano verso una futuristica, travolgente odissea rock. Giganteggia Yamatsuka Eye in “Sundome”, otto minuti di quotidiano dadaismo orientaleggiante dove gli spigolosi vuoti drum’n’bass della sezione ritmica sono riempiti di grugniti, versi, monosillabi e la sensazione che si genera è quella di un divertimento costante, inarrestabile, spontaneo.

È però più stimolante, al netto dell’ascolto, osservare come i tre Battles residui, privi di un apporto terzo a materiale concluso, abbiano elaborato un corso innovativo e già sorprendentemente, perfettamente strutturato. L’apertura con “Africastle” spariglia la creatività di una fuga ipercinetica in bilico fra tradizione ed innovazione, con gli strati di riverbero di chitarre quasi surf frantumati dallo strapotere fisico di uno Stanier oggettivamente senza rivali e rimescolati in un insistito vortice di neo-math crimsoniano. “Futura” nasce con l’intento dichiarato di ricoprire le veci di una vice-“Tonto”, allargando poi il suo raggio d’azione ad incastri post-post-rock di scuola Fridge ed a reminescenze zappiane d’alt(r)a scuola. Il colorato uragano di “Wall Streeet”, un martello pronto per spopolare su buona metà dei dancefloor mitteleuropei, è pronto per essere riassorbito dall’industrial funk in controbalzo di “Inchworm”, istrionica dimostrazione di bando al solipsismo in ipso, non correttamente inserito dentro precisi meccanismi di comunicazione interna, e soprattutto da “White Electric”, imponente incedere avant-rock a zig-zag sull’onda di una strepitosa fanfara in crescendo, a rilascio graduale.

Per questo turno è stata proprio, come suggerisce il monicker, una battaglia. “Gloss Drop” parla al presente, cita il passato ed è pronto per lanciare il guanto di sfida al futuro. C’è riuscito: d’ora in avanti sarà un altro capitolo ancora. In bocca al lupo, ragazzi.

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Voto degli utenti: 6,8/10 in media su 18 voti.

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skyreader (ha votato 5 questo disco) alle 11:14 del 3 maggio 2011 ha scritto:

Specchio riflesso

Attesa delusa. Sapevo che la magia di un disco come "Mirrored" non avrebbe potuto manifestarsi nuovamente, anche se Tyondai Braxton fosse rimasto in formazione. Troppo particolare la loro miscela per non rischiare la ripetizione, con minori stimoli. Però chiunque li abbia visti almeno una volta dal vivo, sa quanto la "statura" di Tyondai contava, per dare al tecnicismo "meganoide" della band una nota di spontanea creatività, un accento di apertura istrionica. Oggi i Battles, più asciutti, sembrano solo dei Tortoise più dinamici e più tesi. Ma non parlo dei Tortoise dei "grandi dischi", parlo dei Tortoise più implosi di "Standards" o dell'ultimo album. E' ovvio che anche il parallelismo con la parabola dei "cugini" Don Caballero sorge spontanea: anche nel loro caso la spirale di involuzione pare piuttosto evidente, caduta sotto i colpi del tecnicismo. In sostanza "Glass Drop" è un disco che non può dare la voglia di staccare gli estimatori dei Battles dal cordone ombelicale che li lega a "Mirrored". Almeno ciò non accade con me.

Emiliano (ha votato 8 questo disco) alle 14:36 del 3 maggio 2011 ha scritto:

Bravo come sempre, Marco. Il disco non è per nulla malvagio, e sopra spieghi benissimo cosa aspettarsi. Questo nuovo corso dei Battles non mi dispiace, e poi dischi che mi piacciono davvero ne stanno uscendo proprio pochi, per cui mezza stella in più.

bill_carson (ha votato 7 questo disco) alle 17:59 del 3 maggio 2011 ha scritto:

ma secondo voi...

è sbagliato definire sta roba "pop surreale"?

in quel senso è un gran disco...

il vo

Marco_Biasio, autore, alle 19:59 del 3 maggio 2011 ha scritto:

RE: ma secondo voi...

No, direi che per astrazione è anzi la definizione migliore.

paolo gazzola alle 15:11 del 16 giugno 2011 ha scritto:

Sto ascoltando in questi giorni. Grado di assimilazione ancora troppo basso, ma sufficiente per dire che "Futura" sarà tra le mie cose da ricordare di questo 2011. Ripasso per voto...

bestropicalia (ha votato 5 questo disco) alle 22:13 del 20 giugno 2011 ha scritto:

Hit

Ice Cream è la (mia) canzone dell'estate 2011!

hiperwlt (ha votato 7 questo disco) alle 22:29 del 22 giugno 2011 ha scritto:

Re: questo nuovo corso dei battles non mi dispiace

quoto Emiliano. math complesso e 'sgraziato', anche compatto. e sì, la proposta non subisserà quella del debutto, ma neppure perde completamente di 'fascino' (anzi...) con la dipartita di Braxton. l'apice, nella prima parte, per me: "ice cream", "futura","inchworm", "wall street" quattro perle in successione. ottimo scritto!

bill_carson (ha votato 7 questo disco) alle 8:45 del 28 giugno 2011 ha scritto:

alla fine l'ho pure comprato...

merita, merita. bravi Battles. tra i migliori ascoltati quest'anno per quanto mi riguarda

bill_carson (ha votato 7 questo disco) alle 8:45 del 28 giugno 2011 ha scritto:

alla fine l'ho pure comprato...

merita, merita. bravi Battles. tra i migliori ascoltati quest'anno per quanto mi riguarda

Suicida (ha votato 5 questo disco) alle 11:34 del 27 novembre 2011 ha scritto:

Paradossalmente lo preferisco al primo perchè è più fresco e meno esasperato. Si comincia a intravvedere un filo conduttore e una linea compositiva sensata che strizza l' occhio agli Animal collective o ai Braids.