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R Recensione

7/10

Giraffes? Giraffes!

Memory Lame

Erano i più bravi, i più tecnici, i più strampalati, i più irriverenti. Non hanno avuto una carriera lunga né feconda, ma chiunque mastichi le fondamenta del math contemporaneo conoscerà inevitabilmente almeno “More Skin With Milk-Mouth”, l’esordio-culto del 2007 che li ha lanciati e consacrati per sempre come idoli incontrastati della sottocultura underground (e se non l’avete mai ascoltato in vita vostra, non è mai troppo tardi per rimediare). Ad un certo punto si sono anche sciolti, ma non se n’è accorto nessuno: troppo luminosa l’aura che li precedeva. Oggi che tornano a dare notizie di sé, con il primo disco lungo a sette anni di distanza dal discreto “Pink Magick” (ma a soli tre dal 7” autoprodotto “Spazz Master”), sembra addirittura che non se ne siano mai andati, che si siano limitati a ciondolare il tempo necessario per riordinare le idee. Si invecchia, si mette su famiglia e qualche chilo di troppo, si viene a patti con persone e circostanze (qui, un accordo con la Topshelf Records di San Diego, California), ma poi ci si ritrova sempre al punto di partenza: e per i Giraffes? Giraffes! questo punto è, propriamente, “Memory Lame”.

Cosa aspettarsi di nuovo e di diverso, da Joseph Andreoli e Kenneth Topham, rispetto a quanto non abbiano già fatto in passato? Niente di sostanziale: la formula del duo di Northampton, anche in virtù della ridotta capacità di movimento, non muta granché né nell’essenza musicale, né nel situazionismo con cui viene proposta (basti vedere come ognuno dei sei brani della tracklist sia suddiviso in un numero grottesco di sottocapitoli dai titoli lunghissimi e sgangherati, per un totale di trentasette movimenti). Se squadra che vince non si cambia, non possono mancare le invenzioni memorabili: valga per tutti il solo riff principale di “Hug Of Death”, un infinito ed impazzito ottovolante che, nello spazio di pochi secondi, accosta swing geometrici e tarantolati ripiegamenti noise, accelerazioni al fulmicotone e intensi arpeggiati emo-post rock tra Minerals e American Football, brandelli di fughe sinfoniche e sciatterie pauperistiche da primo indie rock (una delle più belle cose che abbia mai prodotto il genere, in assoluto). “Putzing Around The Underworld AKA The Loser’s Journey”, nella sua andatura meditativa e chiaroscurale sconvolta da un’irriverente linguaccia impro, è certamente più didascalica, ma non meno efficace nel ricollegare ad un’unica filiazione ombra tutte le principali correnti del rock underground americano degli anni ’90. Nella transizione fra tardi Don Caballero e primissimi Battles si inserisce il rigoroso studio trigonometrico di “The Teenagers In The Woods Burning Things Lying Around”, un math di ascendenza crimsoniana sballottato tra severe armonie nipponeggianti, abrasioni rumoristiche e intense modulazioni barocche. La tentazione dell’epica, che fa capolino anche altrove (come nel crescendo corale dell’incalzante “Heretical Doses”, poi stemperato in una coda flangerata comunque non meno magniloquente) è, forse, l’unico aspetto realmente inedito del nuovo corso dei Giraffes? Giraffes! e, a dirla tutta, non è particolarmente felice (la roboante chiassata di “Knife Eyes: ’04 Jailbreak”, da Lightning Bolt di seconda categoria, ne è la riprova).

Si mira allo stadio, ma si finisce comunque tutti abbracciati a centro campo, stravolti, un po’ alterati, strimpellando e intonando assieme il perfetto peana East Coast di suggello, la kinselliana “At The Turf Field Behind My Parents’ House” (con l’irruzione parodistica, sul finale, della doppia cassa). Pericolo scampato: anche questa volta i Giraffes? Giraffes! non sono diventati famosi.

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