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R Recensione

6,5/10

Globetrotter

Fibonacci

Con i ternani GueRRRa che, in questi stessi giorni, con formazione ridotta all’essenziale interplay chitarra-batteria, sono entrati in studio di registrazione per dare corpo ai brani dell’atteso seguito di “Lampo” (2012), ecco che da Benevento spunta fuori un altro duo, fulmineo, geometrico e inventivo quanto basta per divertire (e divertirsi). Arbitrariamente si appioppano, i Globetrotter, l’etichetta math-core, e qualche riff ribassato, abissale, ai limiti del djent effettivamente lo piazzano (nel singolo “Pachiderma”, ad esempio, dove Giovanni Nazzaro cerca la propria sintesi personale tra i cripto-slap chitarristici à la Les Claypool e certe esasperate dissonanze dei primi Dillinger Escape Plan). In linea di massima, tuttavia, ci pare che “Fibonacci” (nomen omen…), sophomore del s/t di due anni fa, si muova su coordinate sì matematiche e cervellotiche, ma equidistanti sia dagli sperimentalismi gratuiti del filone ipertecnico – leggasi: la degenerazione degli spunti Cephalic Carnage – sia dai frangenti più crudi di tutti quei gruppi metal che, un bel giorno, hanno deciso di darsi all’aritmetica.

Il pezzo migliore del brevissimo full length (ventiquattro minuti: ottima scelta) è “Untore”, che sfodera una multitasking chitarra jazz a continua gittata modale, un Joe Morris che si districa tra sbilenchi arpeggi in ottavi e semitoni distorti: l’accostamento spirituale e sottocutaneo con “New Mumba” degli Athene Noctua, pur estremamente differente come mood, arrangiamento e sofisticatezza, viene quasi naturale. Il solito Nazzaro fa la spola tra il Fripp angolare di “Red” e quello plastico, flangerato, volatile di “Beat” in “The March Of Lefthanded Butterflies” (ci finisce in mezzo anche del prog-core spurio, sponda Triclops! o giù di lì) e l’immancabile, silenziato groove esplode alla distanza, con una “King Cococock” che spacca in quattro il capello di Ian Williams. Piacciono meno, i due campani, quando decidono di alzare l’asticella dell’ambizione tecnica: la logorrea prevale sul contenuto, l’edonismo sull’efficacia e nelle orecchie dell’ascoltatore, colpa anche di una comunicazione strumentale non sempre precisa come si converrebbe, nulla rimane (di “Taurina” è da cestinare il serrato scambio neoclassico della prima metà, da sviluppare con più convinzione le robuste atmosfere, quasi post-grunge, della seconda).

A parte, una curiosità linguistica: nell’intermezzo nonsense di “P____ Skip”, una voce femminile annuncia in russo l’apertura di un set live del gruppo. Attenzione al verbo della relativa: la forma corretta è sostoitsja!

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