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R Recensione

7/10

Incoming Cerebral Overdrive

Controverso

In Supernatural Cat si annida un branco di folli, ormai ne sono certo. Facciamo una prova? Cronometro alla mano, misuriamo l’intervallo di tempo intercorrente fra l’inizio di “Reflections” e la prima delle molte urla che, per i successivi trentatré minuti, distorceranno fatalmente le tensostrutture metalliche dell’esordio degli italiani Incoming Cerebral Overdrive. Un respiro solo vagamente trattenuto, poi un uragano di ultra-violence aggrovigliato attorno ad una carcassa math-core devastante e squassante. Nemmeno la più veloce delle “You Suffer” avrebbe potuto inserirsi con precisione a fare da bridge fra i due tronconi. Ma come, chiederete, cos’è questo scherzo di natura, quest’aberrazione, questa escrescenza data a noi, casti giovini, abituati al tenue – e fumogeno – verbo post-something di Lento (quelli più brutti), Ufomammut (quelli più cattivi) e MoRkObOt (…quelli)? Risposta: è o non è un disco controverso

Partiamo, ora, dagli assunti di base. Non dovrete cercare pause entro otto pezzi che plasmano, strinano e sfregiano, con una debordante veemenza fondamentalmente metalcore, terribili visioni luciferine impregnate di fumo sulfureo. Conformemente errore, tuttavia, tentare la sorte solo nella vana speranza di ricevere passivamente uno tsunami rumoristico tutto muscoli e niente cervello. Le chitarre non hanno unicamente il dono del micidiale assalto frontale ma, piegandosi e divincolandosi con terribili ganasce da fil di ferro, spezzano il ritmo in breakbeat spesso improvvisi, caotici, complessi, mirabili tanto nel citare le scale atoniche del post-core (in “Oxygen” riaffiorano i Jesus Lizard trafitti dal fermacarte dei Fantômas) quanto nel mantenersi compatti e longilinei su belluini cocci death-core mediati da una costruttiva compartecipazione intellettiva di peso non indifferente (“Controversial”). Più semplicemente, non ci sono Zao senza Dillinger Escape Plan, come l’influenza dei Botch è perfettamente riequilibrata con quella dei Converge.

Il sottile acume che pervade i pezzi, il dettaglio sotterraneo che sfavilla seppellito da marette di pura fisicità, l’eccezionale sostrato psichedelico su cui si sfogano le efferate scudisciate chitarristiche, a lungo andare, sono elementi che fanno valere il proprio peso nell’economia di “Controverso”. Il solo fatto che questa valanga di perspicace cacofonia riesca a non tediare anche dopo parecchi ascolti è esclusivamente merito dei piccoli accorgimenti, variazioni, mutamenti operati su un telo solo formalmente monocorde e monofonico. Riprendete un attimo in mano “Reflections”, nel cui nocciolo, utinam, quasi sicuramente non avevate notato le trame di pianoforte che si dispiegano sotto l’arrembaggio finale. Sorprendente, davvero. Eppure è il secondo ritaglio del lavoro che evidenzia maggiormente questa propensione, nella soluzione adottata, allo scompaginare solventi e soluti: “Science” sembra, per un attimo, citare i System Of A Down, in uno stritolante torchio noir dove la voce si deforma al rango di nudo e crudo rantolo, il muro di chitarre di “Sound” parte per un’extracorporea divagazione lisergica impossibile da prevedersi, poi ci pensa l’acidità di “There” a correggere il tiro verso un’atmosferica ambientazione post-metal, con l’eco di terribile urla che si rifrangono su una corazzata di bassi.

Ultimo consiglio: frizionatevi giornalmente col disco, magari toccando l'apice dell'intensità nel delirio alchemico di “Magic” (come scomodare i sibili space rock degli Hawkwind da far opportunamente cavalcare a Mike Patton) e capirete ben presto che, tra l'incudine ed il martello, l'unica vera via di uscita è quella di essere schiacciati nel mezzo.

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