R Recensione

9/10

The Mae Shi

Hlllyh

Sembrano sbucati fuori dal nulla questi Mae Shi, mentre in realtà scorrendo le poche notizie che si trovano sul web si apprende che la band nata a Los Angeles è nel circuito musicale già dal 2004, anno del debutto Terrorbird, seguito dai brevi ep Heartbeeps (2005) e Do not ignore the potential (split del 2006 con i Rapider than Horsepower), una serie di pubblicazioni che viaggiavano essenzialmente tra avant-pop e post-punk mostrando però fin da subito quanto il gruppo fosse restio a scadere in una catalogazione di genere o di stile, vista l’incredibile poliedricità con cui impedisce di fatto facili etichette. Hlllyh non smentisce quest’aspetto, anzi sembra approfondire la questione ma allo stesso tempo apre un solco qualitativo con i precedenti lavori della band, i quali erano sì pieni di ottimi spunti ma talvolta decisamente narcisisti e un pelo pretenziosi, quasi quanto certi film di Godard che sembravano mettere appositamente a dura prova il telespettatore con prove formali ardite e anti-commerciali.

Quello che ne esce fuori è un lavoro sorprendente per freschezza e potenza sonora che merita di essere analizzato dettagliatamente: il gruppo talvolta parte ancora dal post-punk per spaziare su motivi pop (la devastante Lamb and the lion o la classica melodia indie-pop alla Pixies Run to your grave) talvolta impreziositi da un gustoso sapore dance (The melody). Tuttavia sembra prevalere un’inedita (per il gruppo) componente post-core che prende particolare spunto dagli At the Drive In (la sfuriata Boys in the attic, 7xx7). Ma le cose non sono così semplici perchè la maggior parte dei brani non sono strutturati in maniera lineare bensì poggianti su un brioso e ragionato math-rock che consente al gruppo di sfogare la propria incredibile vena creativa. Così tracce post-core si trovano pure in Pwnd che però spazia tra spoken-world e motivi ballabili con la maestria propria dei Battles. Party politics invece dopo una partenza fulminante sfocia in un finale che sembra unire tribalismo primitivo e una batteria alla Beastie Boys. La traccia omonima è un altro delizioso collage più tipico dei Fiery Furnaces che merita di essere ricordata per le devastanti scorribande nella parte centrale in cui una chitarra cinetica e una batteria scoppiettante danno spettacolo. Talvolta il gruppo si lancia in canti corali (Book of numbers) che rallentano la corsa ma che sono accompagnati da una struttura martellante e ossessiva (Leech and locust) o da splendide prestazioni del batterista Brad Breeck (che si diverte a percuotere in maniera impietosa le pelli con una grazia jazz in I get almost everything).

Poteva però mancare l’elettronica? Ovviamente no, e se finora si è trascurato che spesso e volentieri i brani finora citati sfruttano effetti sonori di vario tipo non si può ignorare il brano pilastro di tutto il disco, che con i suoi undici minuti abbondanti posti strategicamente al metà dell’opera sembra troneggiare sul resto delle composizioni. Kingdom come è in effetti un gioiello che sembrerebbe la controparte elettronica al rock di Atlas (Battles). Il pezzo parte dal tema musicale di Pwnd rallentandolo, espandandolo e infine inserendolo in una piattaforma digitale che prende presto vita propria svariando su diversi temi dance con l’abilità di un pioniere affermato come Alan Vega e la modernità di un gruppo come i Daft Punk.

Per chiudere questa recensione non rimane che citare anche l’elettro-pop scherzoso (quasi da sigla di un cartone animato) di Young Marks e il motivo freak di Divine harvest che si chiude con una gran caciara festaiola e casinara, in un’irriverenza degna dei migliori Liars.

Che rimane da dire...l’impressione è che questo disco e questo gruppo faranno parlare di sè per molto tempo.

V Voti

Voto degli utenti: 5,8/10 in media su 6 voti.
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rubens 6/10
REBBY 6/10
Cas 5/10

C Commenti

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REBBY (ha votato 6 questo disco) alle 9:19 del 14 aprile 2008 ha scritto:

La prima (Lamb and the lion) mi piace, ma poi fino alla quarta son tutte da skippare. La

quinta e la sesta si ascoltano volentieri. La

suite (Kingdom come) è na palla! (11,37). Il

resto: niente di memorabile. Il voto sarebbe 6.

Henry Trave (ha votato 6 questo disco) alle 14:07 del 24 luglio 2008 ha scritto:

erano uno dei miei gruppi preferiti, purtroppo da quando se n'è andato il cantante Ezra Buchla per formare gli ottimi GOWNS, si sono un pò persi per strada.

non è un brutto disco, per carità, ma ascoltatevi Terrorbird e poi ditemi...

overwulva alle 1:41 del 4 maggio 2012 ha scritto:

Terrorbird è davvero stupendo! 30 fucilate di cui non si può fare a meno!