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R Recensione

6,5/10

This Town Needs Guns

13.0.0.0.0

Difficile ricordarsene ora, specie per chi non era addentro allora, ma una manciata di anni or sono la loro “26 Is Dancier Than 4” (un titolo che è già tutto un programma...) fece esplodere un piccolo grande caso ad hoc nell'accademica Oxford ed in una terra, il Regno Unito, non esattamente equiparabile alla culla primigenia del math rock. I This Town Needs Guns sarebbero diventati il fenomeno revivalistico del momento, focolaio di mai sopite inquietudini novantiane e filtro intellettuale di nobili screziature compositive, raggiungendo poi l'apice della popolarità con il ben venduto “Animals”, primo full length datato 2008. Di ciò che animava quel disco e, soprattutto, di come lo animava, ne parlammo a tempo debito: hats off per il superbo lavorio strumentale, ma quella voce, proprio no. Riparlarne, a cinque anni di distanza, per l'uscita in sordina del comeback, assumerebbe di per sé già una patina di nostalgia retromaniaca e sembrerebbe, in tutto e per tutto, di parlare di un gruppo appartenente ad un'altra era, ad un altro scenario. Lo è, concretamente, dacché “quei” This Town Needs Guns non sono più “questi” This Town Needs Guns, anche ad un livello meramente numerico: fuori il bassista Jamie Cooper e la spada di Damocle, la voce Stuart Smith, dentro Henry Tremain, cantante e bassista dei conterranei Pennines, già incrociati tempo prima per uno split in coppia.

This Town Needs Guns (del controverso cambio di monicker, “asciugato” in tempi recenti in TTNG, non terremo conto in sede di recensione) significava, essenzialmente, due cose. La prima, che la stagione dell'emocore cerebrale, affezionato a sovrastrutture liriche e ad immaginari sonori di colta e frustrata introspezione – reductio ad notum, sottintendiamo Sunny Day Real Estate, Cap'n'Jazz e American Football – aveva trovato chi fosse in grado, seppur con alterne fortune, di riviverne i fasti e, most of all, la tracimante creatività, ben lontana dallo stereotipo ingessato e stagnante del Nuovo Millennio. La seconda, che il math faticava ad aprirsi nuove vie d'espressione, preferendo piuttosto rincorrere strade già conosciute, con risultati evidentemente discutibili. Lo scontro frontale, che fomentava tensione e logorava le trame di “Animals”, si ripropone oggi, in “13.0.0.0.0”, con percentuali decisamente più smussate, con sfumature enormemente attenuate. Non a caso ci siamo soffermati sul cambio di formazione e sul nuovo ruolo di Tremain: alla sua interpretazione concreta, e al modo in cui si pone a capo del nuovo assetto, si deve la maggiore compattezza e la migliore qualità dei brani entro i quali il power trio sfodera tutte le migliori cartucce, ben lungi dal soffrire per l'instabilità pronunciata e degli equilibri del genere, e delle proprie bilance interne.

Ripartiamo, allora, dal capitolo voce. Tremain adotta un registro pur sempre vistoso, dolce nel suo inerpicarsi su toni alti e fragili ma, allo stesso tempo, lontano dai voli pindarici francamente eccessivi del predecessore Smith, che troppo spesso rovinavano il complesso armonico della strumentazione. Attacchi più sobri e, se si vuole, mediocri nell'accezione classica del termine, ma decisamente più funzionali alle atmosfere oniriche, all'ondivago magma musicale. “Cat Fantastic”, un trionfo di inventiva chitarristica che si districa tra liquidi delay psichedelici, sommesse melodie (quasi) dritte e arpeggi insistiti, testimonia ottimamente il vecchio, nuovo corso del gruppo. Quando i Don Caballero danzano sulle punte di una “Havoc In The Forum” cantata da un Mike Kinsella particolarmente sensibile, o gli Animals As Leaders ritrovano linfa in “Triptych” o, ancora, i favolosi grovigli crimsoniani in 7/4 che si abbarbicano a metà di “+3 Awesomeness Repels Water” (il brit rock trasfigurato da Adrian Belew: di gran lunga il migliore excerpt del disco), la sensazione di un passaggio di consegne tra una formazione e l'altra, cambiare perché in fondo nulla cambi, è prominente. E che, scrivendo “13.0.0.0.0”, i This Town Needs Guns abbiano messo sé stessi più del solito, convinti che non vi fosse nulla da perdere, lo si intuisce anche dagli slanci epici vagamente volcano! di “I'll Take The Minute Snake”, con inaspettato basso shellachiano a fungere da spartiacque tra due circoscrivibili tronconi (l'uno canonico, l'altro dilatato tra armonici, nebbie ambient e la spinta di un groove assassino), immediatamente seguiti dalle elaborate evoluzioni acustiche di “2 Birds, 1 Stone And An Empty Stomach”, il romanticismo dipinto su di una tela ricchissima di colori.

13.0.0.0.0” è uscito lo scorso gennaio, nell'indifferenza generale. Bene, allora, recuperarlo oggi, per inserirlo in un quadro di più ampio respiro, che si confà alla cerchia di quei bei dischi (belli, non perfetti) nella quale, legittimamente, può trovare collocazione e dignità. Attenzione: i fan dei This Town Needs Guns – gli “originali” – dissentiranno rumorosamente da quest'affermazione...

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