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R Recensione

7/10

Wingfield Reuter Sirkis

Lighthouse

Avevamo apprezzato l’esperimento “Stone House”, estemporanea session fra Mark Wingfield, Markus Reuter, Yaron Stavi e Asaf Sirkis, allestita grazie al patron di Moon June Leonardo Pavković nello studio spagnolo La Casa Murada, quale riuscito esempio di musica improvvisata costruita tenendo a mente i King Crimson più sperimentali e l’ambient chitarristica di Fripp ed Eno, ma ignoravamo l’esistenza di un prequel a quel felice episodio pubblicato lo scorso anno. I sei giorni di registrazione del 2016 che hanno prodotto quel lavoro erano, in realtà, partiti con un’altra seduta improvvisata, questa volta con soli tre membri, Reuter, Wingfield e Sirkis, a cui si aggiunse solo in seguito il bassista Yaron Stavi, che oggi vede la luce sotto il suggestivo titolo di “Lighthouse” e con una bella cover che annuncia già molto del contenuto.

L’approccio dei due lavori è analogo, totale libertà creativa e dominio della composizione istantanea, anche se “Lighthouse” si differenzia sostanzialmente dal lavoro gemello per una maggiore radicalità ed astrattezza delle tessiture sonore che, prive dell’apporto ritmico ed armonico del basso elettrico, prendono la strada di lunghe jam saturate di elettricità dalla chitarra terrena di Wingfield, da quella aerea di Reuter e dal free drumming di Sirkis. “Zinc” apre la session con le lunghe dilatate note della chitarra di Wingfield che stende trame psichedeliche sul tumultuoso tappeto ritmico, accentuato nel groove granitico della successiva “Derecho”, condotta magistralmente dalla batteria di Sirkis. Al centro del disco due lunghe jam, “Ghost Light”, una minisinfonia che parte su chitarre frippertroniche, si distende in fondali ambient e lambisce territori noise prima di approdare ad un finale pacificato, e “Magnetic”, dal clima arroventato dagli assoli di chitarra. Il dualismo dei chitarristi ed il diverso uso dell’elettronica è evidente nel clima sonoro dell’incisione. “Il mio approccio all’uso dell’elettronica è funzionale ad una maggior definizione del tessuto armonico - spiega Wingfield - mentre Markus usa un metodo opposto e complementare, i suoi soundscapes elettronici sono complessi ed in continua evoluzione ed incoraggiano l’esplorazione e la sorpresa”. 

Ampia esposizione di entrambi gli stili si riscontra nei tre pezzi finali, la tortuosa ed inquietante “A Hand In The Dark”, “Transient Wave”, una superficie sonora distesa scossa da fremiti elettrici, e la crimsioniana, apocalittica “Surge” dove il clima si surriscalda fino al parossismo. Tutto “Lighthouse”, come il suo successore, è stato composto e registrato in presa diretta, come spiega Wingfield. “Volevamo che la musica suonasse come se fosse stata composta accuratamente, come se seguisse un idea compositiva, benché sia totalmente improvvisata. Ero anche interessato a creare atmosfere, un senso di narrazione in ogni pezzo senza però specificare cosa davvero avremmo suonato. Prima delle registrazioni io e Markus abbiamo discusso sull’approccio da tenere, concordando su un lavoro largamente improvvisato ma con regole o strutture algoritmiche usate come forme di composizione. Alcune erano semplici regole, altre suggerivano alcune note, ma non la successione o il ritmo in cui suonarle. Altre ancora erano rappresentazioni grafiche di come la musica dovesse formarsi o evolversi. Tutte le progressioni di accordi, le melodie, le figure musicale ed i ritmi sono stati improvvisati”.

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