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R Recensione

7,5/10

FermoImmagine

Frammenti

Scrivo questa recensione mentre in TV scorrono ininterrottamente da ore le notizie, le immagini, le opinioni e gli strali su ciò che è accaduto a Parigi nella notte. Ciò che sento è banale, a volte anche pruriginoso, ma non per questo inutile. Politici, sociologi, giornalisti, psicologi, fanno a gara per trovare la chiave del successo dell’ISIS in questo mondo atomizzato. Ciò che vedo è brutto, decisamente brutto, oggettivamente brutto, e ne avrei fatto volentieri a meno. Ma, mentre scrivo queste righe amare e patetiche, per fortuna penso al disco che ho molto ascoltato negli ultimi giorni, “Frammenti”. E penso pure che quelli che hanno sparato a casaccio e che si son fatti saltare in aria, molto probabilmente la musica non l’ascoltano proprio, altrimenti avrebbero avuto qualche valido motivo per restarsene a casa o, magari, per recarsi al Bataclan ad ascoltare gli Eagles of Death Metal, piuttosto che a massacrare tutti quegli innocenti.

Fatto sta che mi occupai dei FermoImmagine nel 2012, allorché pubblicarono “Foto ricordo”, un disco acerbo ma molto deciso nei temi e negli indirizzi musicali. Luigi Maresca e Mirko Ravaioli sono ancora lì, a dividersi i compiti, a montare le strutture wave della propria anima, proponendoci infine un LP di gran lunga migliore del precedente perché più curato nell’elettronica e nel cantato, con testi freddi e dissacranti. Le fondamenta diaframmiane su cui costruiscono il disco sono solide e, al contempo, di elegante fattura. Le progressioni ritmiche su cui la voce siberiana di Nife si innesta con precisione matematica, digradano spesso verso lande sonore fatte di riff chitarristici e sintetizzatori diesel. In pratica, questo è il sound di chi è cresciuto a pane e CCCP, col poster di “Unknown pleasures” in cameretta e il vinile di “Construction time again” ormai usurato.

È importante ricordare che la musica dei FermoImmagine, oggi come ieri, è una musica di lotta, di opposizione a questa realtà brulla. Ne “La gabbia” ascolto storie di costrizione quotidiana: «Dentro la gabbia non sono nessuno, / in questo zoo di stupidità. / Sono uno schiavo del terzo millennio, / senza futuro, senza tempo». In “11.12.13” sento critiche al vuoto Occidente: «Vetrine luminose, / colorate, / forse accoglienti, / invece nude, / ricolme di nulla». Ma oggi tutto mi parla di Parigi, e in “Attimi” canto: «Una sala enorme, alto il soffitto, luce bassa, / è freddo, siamo tanti, ci rincorriamo». Per fortuna mi rincuoro con “Sono calmo”, il brano a mio avviso più importante del disco; il suo malcelato ottimismo di natura gaberiana  - con un conciliante retrogusto battiatiano - è zucchero in questa giornata cupa: «La musica sempre uguale della radio, / l’aroma del caffé, / ti ascolto distratto, sorrido, controllo / che sei ancora qui».

“Frammenti” è un disco che si lascia ascoltare con sommo piacere: contiene episodi molto fortunati ed altri più trascurabili, ma in fondo quei frammenti che tutti assieme costituiscono la vita quotidiana non sono sempre indimenticabili, anzi, a volte vorremmo non averli vissuti. E poi, niente, oggi è davvero inutile discutere di musica. So solo che se ce ne fosse di più…

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