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R Recensione

7/10

Lucertulas

The Brawl

Come in un sogno. Nell’utopia di poter rivivere, toccare con mano (e con ritardo) i favolosi Nineties noise d’Oltreoceano, impossibili da essere vissuti in presa diretta per intere fasce di gioventù odierna. Andare oltre il Great Complotto pordenonese di fine anni ’70 e l’hardcore torinese qualche anno successivo. Non bastava, non poteva bastare il magma ribollente della Canalese Records in Cuneo, punta di diamante di un sommovimento post-core che smuove i monti e si propaga virulento giù per la spina dorsale dello Stivale, da un buon paio d’anni a questa parte. Ecco a voi, signori e signore, un disco che fa sanguinare le gengive e dolere le ossa, nel profondo. Da (Jesus) Lizard a Lucertulas, tutto sommato, non cambia poi granché: sempre di rettile anfetaminico si parla. E di botte da orbi, sganassoni e mappe metropolitane di lividi sparsi in giro per il corpo. Il power trio trevigiano non le manda proprio a dire e, nell’essenziale compattezza della mezz’ora, sforna un’opera seconda impressionante per forza, precisione e scelta delle fonti.

The Brawl” è la rissa. Non solamente quella puramente fisica, però. Si capisce sicuramente qualcosa in più leggendo i testi del cantante e bassista Federico Aggio, appena intellegibili su disco: “The Boxer” parla di un pugile fuoriclasse che scende sul ring con il blocco psicologico della sconfitta e il terrore di perdere, in lotta con sé stesso e con gli altri, “A Wicked Eel” indugia su un tormentato rapporto amoroso, “8 Hours” è la vecchiaia passata sul lavoro e coperta di maledizioni. È un lavoro furente, dannato, che prende al collo con maglie di chitarre e pianta le tende, scavando trincee con linee di basso memorabili. Nove brani su cd, altri quattro su vinile, perlopiù le versioni italiane dei corrispettivi inglesi. Non ce ne importa poi molto. Parte “8 Hours”, razzo imprendibile dalle progressioni entusiasmanti, e Eugene Robinson fa capolino dallo studio di registrazione, quasi stupito da quell’onda anomala di rumori: it’s the Italian revenge. Sarà sempre peggio, già dalla successiva “An Old Man” che cavalca un galoppante scampolo di melodia, sfregiandola con vapori muriatici, o “Crowning”, raffica di pugni sopra immarcescibili scale post-core.

Ascoltare l’album è un atto dovuto: per il gruppo, la scena, la passione incisa a fuoco sulle tempie di ogni, singolo passaggio. Ma “The Brawl” assurge il ruolo di documento per gli anni che verranno, quando si rivaluterà puntualmente l’importanza di un revival così sentito a dispetto delle critiche di chi ancora lamenta scarsa originalità (prego darsi fuoco). La violenza supersonica di “A Wicked Eel” copre tutto il resto e molla fendenti omicidi anche laddove non ce ne sarebbe bisogno, “In This Town” porta il blues a stretto contatto con gli Helmet ed il primissimo math-core (degenerazioni assicurate), “The Nun’s Pray” è un rosario sgranato con riff insistiti alternati ai paternoster. Lontani dalle ricerche di “canzoni” più proprie dei gruppi cuneesi e, in questo, più simili alla decostruzione dei corregionali Putiferio, i Lucertulas toccano il massimo con la conclusiva “The Widower”, un compendio di sei minuti e mezzo, che trasporta il noise a spasso nell’Iperuranio della psichedelia, dimostrando quanto questa possa fare male se non nascosta, come spesso succede, tra montagne di effetti e cumulonembi di nulla.

Caldamente consigliato l’acquisto in vinile.

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