V Video

R Recensione

5,5/10

How To Destroy Angels

Welcome Oblivion

Prima di iniziare con la classica analisi introspettiva dell’album togliamoci il sassolino dalla scarpa. Trent Reznor è un uomo fortunato. Non solo per il successo ottenuto coi suoi Nine Inch Nails. Eh no. Bisogna anche aggiungere che sua moglie, Mariqueen Maandig, è una gnocca stratosferica.

Finita la digressione ferina possiamo iniziare a blaterare di suono.                                                                    Probabilmente se Karl Marx fosse vivo in questa epoca convulsa scoppierebbe in lacrime. Gli ultimi venti anni sono stati il teatro di prova di un liberismo sfrenato e delle sue propaggini capitaliste che hanno portato ad un radicale cambio nei modelli societari e negli stili di vita. Un turbinìo che ha gettato gran parte della popolazione, stordita dalla repentinità dei cambiamenti, nelle spire della crisi. Ovvia conseguenza dell’asfittica dittatura dei mercati è l’impoverimento della classe media, schiacciata gradualmente e l’appiattimento brusco di alcune fette di mercato, impoverite dall’assenza di domanda. Tra le vittime eccellenti di questa contrazione, la musica ha avuto un posto in prima fila. Download illegali, pirateria, pubblico scarso ai concerti, sale di registrazione subissate dal fai-da-te ed una previsione caustica del futuro prossimo. E gli artisti, invece, come hanno fatto ad evitare di perdersi nelle spelonche fosche della contrazione? Semplice. Dandosi anima e corpo al mecenatismo famigliare. Basti pensare all’ostinazione di Peter Gabriel nel piazzare la voce arida della figlia in ogni progetto o Kate Bush che ha scelto di inserire prematuramente l’ugola tentennante e eunucoide del proprio figlioletto nelle armonie ariose di Snowflake.

Oggi è toccato alla moglie di Trent Reznor, Mariqueen Mandig, posare sotto le luci del proscenio nientepopodimeno che con il duo che vincitore di un Oscar per la colonna sonora di The Social Network: Atticus Ross e – appunto – suo marito Trent Reznor. Un trittico che in realtà vede muove i primi passi nel lontano 2011, firmando la soundtrack del film “La ragazza con il tatuaggio del drago” sotto il nome How to Destroy an Angel.

Ma siamo sicuri che l’incombenza comunicativa abbia veramente bussato alla porta del signor Reznor? Perché a conti fatti Welcome Oblivion ostenta qualità estetiche senza aver contenuti ammalianti. Si sub odora il classico “vorrei ma non posso” anche se in questo caso Reznor ha voluto e potuto nei fasti passati con The Downward Spiral. E allora, forse, sarebbe meglio parlare di “ho potuto e lo rifarò” come a dire che a raccogliere i cascami di un presente piatto, si contrappone il bigino dei grandi trascorsi. In Welcome Oblivion tutto passa attraverso le maglie strette di un filtro sintetico che restituisce asettiche pulsioni cosmiche sporadicamente disturbate da melodie umanoidi e incursioni terrestri. Gli orpelli elettronici segnano il passo di una lettura industrial sommessa ai dettami di un trip hop minimalista, creando una commistione di intenti che non sempre arriva al dunque. Sembra come se il mordente tra Ross e Reznor si sia rinsecchito. Di più. C’è di che pensare che l’approccio all’album sia stato ragionato in maniera atomistica, scindendo ogni singolo ingranaggio invece di far funzionare la macchina nella sua totalità. Concetto questo che viene avallato dai momenti siderali fatti di pura electro di matrice NIN (The loop closes) dove marito e moglie duettano con inquietanti sussurri. Contrapposte e affiancate giacciono le secchezze trip hop (How long) che strizzano l’occhio alla old school dei Massive Attack con un registro vocale leggermente insipido. Ed infine la salvifica necessità di protendere uno sguardo più lungimirante alla sperimentazione con Ice Age, uno space country spalmato in sette minuti di lisergia viscerale.

Welcome Oblivion è “tanta roba” incanalata male, per quanto di roba genuina e perfettamente impacchettata si stia comunque parlando. Perché, diciamoci la verità, il classico ascoltatore-tipo Reznoriano è paragonabile allo smanettone che ascolta i Dream Theater. La differenza è che quest’ultimo presta orecchio in particolar modo alle masturbazioni sonoro dei cinque di Boston mentre il primo volge uno sguardo attento alla forma e alla confezione, ma meno al contenuto. E il Reznor questo un po’ lo ha capito. 

V Voti

Voto degli utenti: 4,3/10 in media su 2 voti.
10
9,5
9
8,5
8
7,5
7
6,5
6
5,5
5
4,5
4
3,5
3
2,5
2
1,5
1
0,5
motek 4/10

C Commenti

Non c'è ancora nessun commento. Scrivi tu il primo!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.