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R Recensione

6/10

Anathema

Falling Deeper

Gli Anathema devono averci preso gusto. Ad autoanalizzarsi, a rileggersi, a revisionare se stessi e il proprio passato. E così nell’attesa si un nuovo album, previsto per il prossimo anno (ma teniamo le dita incrociate, vista la lunga gravidanza che ha portato all’ultimo “We’re Here Because We’re Here”), e sulla scia di quanto fatto con “Hindsight”(2008), la band dei fratelli Cavanagh ritorna ancora una volta sui propri passi più antichi, quando l’attuale vena post-progressiva con elementi di post-rock e psichedelia atmosferica era ancora distante, e un metal più epico e di stampo doom scandiva le composizioni. La reintepretazione è attuata su tempi più lenti, mentre il pathos rimane intatto, sia per la coerenza compositiva del materiale prescelto, sia per le orchestrazioni chiamate in gioco per sostituirsi alle chitarre, laddove oggi non vogliono più arrivare. Tuttavia l’operazione non conduce mai a risultati pomposi e scontati, segno questo della bontà della scrittura originaria dei pezzi (Everwake, J’ai Fait Une Promesse e la stessa Alone, non è che poi fossero così diverse al loro esordio, tranne che per il contributo dell’orchestra). Semmai la componente eterea è amplificata attraverso un emozionante uso delle chitarre, che pur destituendosi dal ruolo di regali protagoniste, giungono a ricamare accordi di grande suggestione e a produrre, quando elettrificate, feedback sonori di ampia portata (largo è l’uso dell’e-bow). La presenza di Anneke Van Giesbergen (indimenticata singer dei migliori The Gathering) nel classico Everwake, fa tornare alla mente il bellissimo esperimento del tour acustico degli olandesi, concretizzato nello stupendo live “Sleepy Buildings” del 1994. Non è secondaria la prestazione vocale della brava Lee Douglas (specialmente in Alone), anche se le sue architetture sono molto più sfuggenti e dunque le sue doti potrebbero apparire meno evidenti.

L’intensità mantiene un livello di espressività molto dimesso e poco incline all’impatto. Anzi la sfida è ancora una volta questa: proporre un’altra dimostrazione pratica dell’impatto. Farlo nello stesso modo di quindici anni fa non avrebbe avuto senso e di certo non avrebbe dato valore aggiunto. Non credo che gli Anathema vogliano tuttavia darci una prova di maturità conquistata con validità retroattiva: davvero non ne hanno bisogno e non ritengo vogliano minimamente affrancarsi dal loro passato. Anche perché determinati brani dal vivo vengono eseguiti ancora nell’arrangiamento primigenio (almeno così è avvenuto nel tour di “Hindsight”). E alla fine di questo “Falling Deeper”, l’unico momento nel quale ci si ritrae dal plauso è proprio nel potentisimo arrangiamento di cui viene dotata l’immane Sunset Of Age (da “The Silent Enigma” del 1995): mi sembra che il meglio di sé questo lavoro lo dia in quelle riletture diafane e minimali di Crestfallen, Everwake o They Die (ossia proprio quelli dell’EP “The Crestfallen” del 1992 con il quale gli Anathema hanno esordito). In taluni casi le modalità prescelte per le nuove fattezze hanno portato a più drastiche modifiche: Kingdom, Sleep In Sanity e We The Gods non solo sono geneticamente “altre” rispetto a ciò che erano (via ogni timbrica growl), ma la veste minima si è concretizzata anche in un significativo restringimento della durata, in conseguenza della quale tali tracce vengono (se)veramente ridotte ad una dimensione di nuda essenzialità.

 È ovvio che qualsiasi giudizio sugli Anathema non potrà basarsi su un album del genere, ma richiederà invece un personale confronto tanto quanto con quell’innovativo capolavoro di “Alternative 4” del 1998 (e del quale per l’ultima volta è stato protagonista Duncan Patterson), quanto con “A Natural Disaster” del 2003. Ma anche la conoscenza del primo quadro sonoro degli Anathema, quello di dischi del calibro di “Serenades” (1993), “The Silent Enigma” ed “Eternity” (1996), quando tutte le caratteristiche qui epurate erano motivo di gioia per migliaia di fan in tutto il mondo, non può e non deve essere ricondotta ad una esperienza minore o più adolescenziale.  

V Voti

Voto degli utenti: 7,3/10 in media su 2 voti.
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Teo 6/10
swansong 8,5/10

C Commenti

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swansong (ha votato 8,5 questo disco) alle 11:45 del 13 settembre 2011 ha scritto:

Ahh gli Anathema!

Ecco uno dei pochi(ssimi) gruppi che, negli ultimi anni - da quando li ho scoperti in pratica con Alternative 4, prima li ho ingiustamente snobbati per la loro matrice doom metal - mi hanno cambiato la vita. La musica è principalmente empatia ed io con loro entro in una simbiosi assoluta. Il citato Alternative 4, Judgement e, soprattutto, l'immenso, struggente ed irraggiungibile A Fine Day to Exit, sono per me vette emozionali assolute. Mi ha lasciato purtroppo più freddino l'ultimo We're Here...non perchè brutto, ma forse perchè nutrivo troppe aspettative non totalmente ripagate. Son del parere che sia troppo lungo ed una sfobiciata al timing su alcune canzoni avrebbe giovato..Comunque sempre grandi Anathema. Senz'altro ascolterò con curiosità anche questa succosa rivisitazione del loro passato, così esaurientemente illustarta dal sempre ottimo Stefano. Piuttosto rivolgo al recensore una domanda. Non che ritenga il voto assegnato un aspetto fondamentale della recensione, ma da come ne hai parlato, in modo tutto sommato lusinghiero, mi aspettavo un giudizio più di "manica larga"..

skyreader, autore, alle 15:47 del 14 settembre 2011 ha scritto:

Ciao... Se rileggi le ultime righe della recensione potrai capire che pur reputando l'operazione (di riduzione) realizzata con grande cura "minimale", alla fine mi è parso che gli Anathema abbiano voluto prolungare il gioco iniziato con "Hindsight", andando a lavorare di forbice anche sulla durata dei brani. Confermo la mia chiusa dunque, fornendo un voto di misura, anzi "minimale".

swansong (ha votato 8,5 questo disco) alle 12:18 del 14 febbraio 2012 ha scritto:

Finalmente sono riuscito ad ascoltarlo e dopo attenta analisi, mi sbilancio e dico che per me è il miglior Anathema dai tempi di A Fine Day to Exit! E ciò anche se trattasi di rivisitazione. Non che abbiano partorito chissà quanti lavori dall'epoca, ma qui mantengono elevatissima la qualità espressiva lungo tutto l'album e non solo in alcuni passaggi com'era successo nel comunque notevole A Natural Disaster e nel non troppo convincente ultimo We're Here.. Rispetto poi all'analoga operazione Hindsight trovo che le nuove vesti con le quali hanno sapientemente rivestito le loro vecchie canzoni, abbiano in questo lavoro una maggiore coerenza stilistica. Hindsight, infatti, pur nella sua indubbia eleganza formale, mi ha lasciato perplesso, perchè quelle rivisitazioni non erano poi così distanti negli arrangiamenti e/o nell'esecuzione dai brani originali che già erano stati pensati in chiave elettroacustica, con inserti “sinfonico-orchestrali”. Qui invece, sarà per l'apporto determinante, ma non invasivo, dell'orchestra, sarà per l'indovinata scelta di concepire l'opera, quasi fosse una suite, come un unicum narrativo – testi e durata più scarni e rielaborati in funzione del progetto, sarà per la sapienza con la quale sono stati riarrangiati alcuni brani, beh..devo ammettere che tutto ciò mi ha stregato sin dal primo ascolto ed il piacere è stato doppio poiché non nutrivo molte aspettative.

Segnalo (e su questo la penso diversamente da te Stefano) il poderoso risultato raggiunto su Sunset of Age (a proposito, la posizione del brano nella scaletta qui a fianco è sbagliata) che è davvero strabiliante. Già l'originale è da togliere il fiato ed il rischio sminuirne la qualità era alto ed invece hanno superato brillantemente la prova. E poi, quell'assolo di chitarra che va a chiudere il brano è così lancinante da trafiggere anche il più duro dei cuori!

Insomma, i grandi Anathema hanno lasciato nuovamente il loro segno inconfondibile di abili e sensibili dispensatori di (forti) emozioni..aspetto allora con interesse il prossimo lavoro – il già terminato Weather Systems, in uscita per la primavera – con la speranza che non sia, come purtroppo temo, una proposta troppo simile al precedente “newageiano” We're Here..

Utente non più registrato alle 20:48 del 11 aprile 2012 ha scritto:

Come sempre, belle melodie, atmosfera e pathos, ma...manca qualcosa. Avverto qualcosa d'irrisolto, non sviluppato come avrebbe potuto/dovuto essere. Cmq bello.