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R Recensione

7/10

Necromonkey

A Glimpse Of Possible Endings

I Necromonkey nascono dall’unione delle personalità artistiche di Mattias Olsson (poliedrico drummer nei ranghi di Änglagård e White Willow) e David Lundberg (già con gli avant-progger Gösta Berlings Saga): i contributi dei due musicisti svedesi tuttavia vanno ben oltre le proprie sfere di competenza, coprendo quasi per intero il range strumentale che da vita al loro secondo opus in combutta, “A Glimpse Of Possible Endings”, al quale collaborano anche una folta di amici musicisti chiamati a completare il complesso quadro sonoro che si compone anche di Theremin, clarinetto, oboe e violoncello ma che non contempla il canto.

Nonostante il continuo ricorso ad una strumentazione rigorosamente vintage (l’imperituro Mellotron regna in queste lande) e la comune provenienza da topografie prog (Olsson da uno dei gruppi chiave del risorgimento del genere ad inizio Anni ’90, Lundberg da più impervi territori Rock-In-Opposition), che potrebbero ribadire la stretta parentela con quell’idea di musica “in purezza”, il panorama di riferimento dei Necromonkey si discosta da esso per la sapiente capacità di calibrare  elementi di modernariato elettronico e richiami tanto al post-rock più cinematico quanto alle eclettiche alterità che connotarono i Radiohead di “Kid A”. Anche di virtuosismo non vi è traccia alcuna, se non nella maniacale ricerca dell’esaltazione dei dettagli sonori.

"There Seems To Be Knifestains In Your Blood" posta in apertura sembra voler smontare ogni ipotesi aprioristica basata sul background dei due artefici dei Necromonkey, proponendo un adombrato pezzo dalle chitarre desert, dalle ritmiche sintetiche e caratterizzato dalla diafana presenza del Theremin che ci conduce per mano verso il post-rock ambientale di The Sheltering Waters, sospeso fra le partiture oniriche dei múm, le prospettive di ascesi degli Hammock e le eleganti nevorosi dei Bark Psychosis.

Il pezzo cardinale dell’album è la mastodontica title-track (un quarto d’ora) che tuttavia, in virtù della sua variegata essenza, riesce a risultare fuggente, sfuggente, immanente e trascendente contemporaneamente, ingannando la stessa durata che lo caratterizza: e così da una sezione introduttiva virata verso le sussultorie soluzioni dei 65daysofstatic, con una propensione per le ipnotiche geometrie ritmiche dei Tortoise, evolve  – nel finale di partita – in una fantasmagoria siderale pregna di suggestioni alla Yes. Un vero potpourri di stili, intuizioni e visioni, che più di altri frangenti dell’album accoglie l’eredità degli Änglagård.

The Worst Is Behind Us chiude il programma, proponendosi in forte discontinuità con la musica che l’ha preceduto – salvo il persistere di una affinità con gli Hammock  – e lasciandosi andare a luminose congetture strumentali sviluppate su un  incedere maestosamente sigurrossiano ricco di influenze orientali e di tale impronta “filmica” da apparire particolarmente calzante come tema da titoli di coda.

A Glimpse Of Possible Endings” vive di una alternanza di piani temporali e umori narrativi talmente articolata da rischiare di risultare disomogeneo: in realtà, il disco  ha semplicemente il desiderio di offrire ai suoi ascoltatori una esperienza tattile di quello stesso multiforme, contraddittorio e “cangevole” materiale di cui sono fatti i sogni. Un’opera preziosamente eclettica.

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