惘聞 (Wang Wen)
歲月鴻溝 (Sweet Home, Go!)
In patria, i 惘聞 (Wang Wen) sono delle star assolute. I Godspeed You! Black Emperor di Dàlián, i Mono della Grande Muraglia, The Ocean con gli occhi a mandorla. Gente capace, dopo un non trascurabile percorso artistico di diciassette anni e otto dischi, di fare 1500 sold out nel corso del loro ultimo tour. E daccordo che la Cina è grande, ma voglio dire: 1500 sold out. Il dubbio comincia a rodere dallinterno: esiste una scena post rock cinese? Quali sono le sue dimensioni? Comè nata, come si è sviluppata? Perché ai cinesi dovrebbe piacere il post rock (e qui ci rispondiamo: perché piace a tutti )? Letnomusicologo postcolonialista che sonnecchia in ciascuno di noi, pervicaci sostenitori di ogni aberrazione a sette (+ cinque) note, sogna sempre, in fondo, di imbattersi in una variabile impazzita, nascosta in un angolo sperduto del globo terracqueo, che metta in discussione ogni singolo schema precostituito delloccidentale medio. Ma riporre questa fiducia in un gruppo come i Wang Wen è pensare che sarà uno come Giovanardi ad annunciarci lanarchia: naif.
Per quanto il nostro giudizio sia inevitabilmente inficiato dal non conoscere a dovere i precedenti capitoli della loro non trascurabile discografia, la similitudine con alcune formazioni de noantri è così palese che possiamo argomentare con cognizione di causa. I Wang Wen sono una band magniloquente, roboante, barocca. Se i numeri di cui sopra non vi sono stati sufficienti, basti pensare che il precedente capitolo studio, In Course Of The Miraculous, era un box set comprensivo di book fotografico, dvd e vinile della soundtrack dellultima installazione artistica del cineasta Cheng Ran, un Diary of a Madman lungo nove ore (!). 歲月鴻溝 (Sweet Home, Go!), scritto nel corso degli ultimi tre anni, è meno torrenziale nelle dimensioni (nemmeno troppo: settantatré minuti per sette tracce), ma non meno contenuto nelle ambizioni. Chitarre a volontà, percussioni di varie forme, dimensioni e timbri, archi, trombe, theremin, inserti elettronici La musica dei Wang Wen è, certo, solenne e maestosa, granitica ed emozionante. Ma a cosa porta questo profluvio di sforzi, questoverdose di sfumature? La risposta è: a niente. O meglio: a niente che non conoscessimo già a memoria. Lunghe cavalcate costruite attorno a uno o due riff ripetuti per decine di minuti, distorsioni quanto basta, imponenti orchestrazioni, dinamiche interne azzerate e ridotte a muta autocontemplazione.
È Under The Pipal Tree? Sì, lo è. Ma è anche Lift Your Skinny Fists Like Antennas To Heaven e perché no 13 Blues For Thirteen Moons, senza un briciolo della sua disperata interpretazione. Non si vuole la novità ad ogni costo, ma non cè nulla, ad esempio, che illumini lascoltatore ignaro sulla provenienza geografica del gruppo, se non fugaci scorci di meditazione ascetica, a capella, che si fanno puro suono, astrattismo su tela (i flauti andini sparsi qui e lì nellestenuante 歲月鴻溝 (Sweet Home), la conclusiva, brevissima 歸零 (Reset), registrata in una fabbrica abbandonata). Un po troppo poco, onestamente, per catturare lattenzione. Di passaggi evocativi ve ne sono svariati, intendiamoci (ma, per un disco di genere, peraltro così lungo, ci mancherebbe altro), e almeno un brano andrebbe ascoltato con attenzione dallinizio alla fine: parliamo di 21世紀不適症 (Lost In The 21st Century), uno slowcore catatonico costruito su un loop di violoncello ed archi sintetici, nella cui seconda metà si risveglia una vivida serpe elettrica infestata da apparizioni goth. Ogni buona intuizione viene però stirata allinverosimile e si perde nelle anse di suite interminabili, ridondanti. Lattacco pianistico di 海洋之心 (Heart Of Ocean) riporta alla mente i Giardini di Mirò di Rapsodia Satanica: ma il brano, in sé, è una processione romantica di scarso spessore, che si fa giorno dellapocalisse solo sul finale. 紅牆黑牆 (Red Wall And Black Wall) aumenta i decibel delle chitarre, suonando troppo vigorosa per essere una sinfonia e troppo poco per essere una frecciata post-core. Per un istante, 黃泉水 (Netherworld Water) compie il miracolo di resuscitare i Crippled Black Phoenix altezza Night Raider, con le chitarre che macinano melodie spettrali e gli archi sospesi sopra di esse, come sciabole pronte allassalto: eppure, come in una scenografia da kolossal, tutto scivola, nulla succede. Come se la natura, in un dipinto di Turner, non fosse forza soverchiante ed incontrollabile, ma semplice cartolina.
La curiosità può ampiamente giustificare lapproccio e i primi ascolti. Ma 歲月鴻溝 (Sweet Home, Go!), nonostante tutte le buone intenzioni, rimane un prodotto strettamente ad uso e consumo dei die hard fans.
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