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R Recensione

6,5/10

A Finnish Contact

In Case We'll Meet

“In case we’ll meet” nasce come colonna sonora fittizia per un altrettanto fittizio lungometraggio, non a caso il sound di questo duo è cinematico ed ambientale. Stai lì ad aspettare mezz’ora l’arrivo di un beat, di una ripartenza, insomma di qualcosa, che alla fin fine non arriverà mai. Tuttavia, l’ascolto di questo primo capitolo della neonata Kohlhaas è un grande piacere, con trame dilatate e suoni concreti capaci di arredare musicalmente la stanza in cui ci si trova: scampanellii, voci dal giardino, soffi, spruzzi, fulmini globulari, folate di vento. Ogni singolo brano di questo disco è in grado di stimolare l’udito dell’ascoltatore portandolo in una dimensione parallela, indefinita come il sogno, reale come l’habitat circostante. Il progetto A Finnish Contact è costituito da Luca Freddi e Fabio Valesini, già membri di importanti line-up come Satan Is My Brother, ai tempi dell’esordio eponimo del 2007.

Il dittico composto da “Detachable worlds / Tangled numbers” è già di per sé un viaggio interiore: un’apertura minimale che col passare dei minuti crea una distesa per le chitarre post-rock e per un lontano e sudicio cantato. Stessa struttura in bilico tra ambient e post-rock in “Clouds eyes, blue days”, anche se qui è più marcata l’impronta melodica, grazie ad un synth malandato che lascia trasparire una cantilena elettronica, come una conventicola di giocattoli impazziti (gli ottoni in lontananza sono invece merito di Luigi Valesini). Decisamente post è invece “Carraxo fronte da neveira”, dal titolo galiziano: puoi ascoltarla e innamorarti subito di questo brano – a metà tra i migliori Mogwai e i primi Notwist – ma poi capisci che gli AFC l’hanno scritta davanti a un frigorifero rotto e capisci bene che c’è poco da fare i romantici.

La voce degli AFC vien fuori nuovamente in “Dance like Picciotto”, un dolcissimo componimento per chitarre, sintetizzatori e FX. Sicuramente importante è poi il brano intitolato “07/03 (ph. song vrs #2)”, esperimento avanguardistico dapprima docile come un cagnolino ed infine turbinoso come una tempesta estiva. Difficile comprendere la tonalità di mi della successiva “Pee roll”, anch’essa bifronte: placidi accordi di synth lasciano spazio a improvvisi lampi di noise, fino ad inoltrarci nella finale “About gravity and other forces”, fulgido esempio di post-rock iperboreo, dove, accanto alla normale sequenza di chitarre e basso, viene via via formandosi un grumo di rumori elettronici che, invece di esplodere definitivamente in un boato, daranno vita ad un balbuziente monologo sulle leggi della fisica.

“In case we’ll meet” è un ottimo disco e lascia ben sperare circa l’etichetta trentina che lo ha pubblicato. Cosa aggiungere dunque? Siamo di fronte ad un interessante mix di noise, ambient e post-rock, certamente già sentito grazie ai Godspeed You Black Emperor!, ma l’inconcludenza di questa mescolanza lascia aperte infinite vie ed è sempre bene tenersi aggiornati sulle derive del suono.

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