R Recensione

6/10

American Splendor

Crash

Un disco breve, quasi un EP, quello che American Splendor ha appena confezionato. Prendendo in prestito da Harvey Pekar il moniker, Maria Teresa Soldani ha scritto solo sei brani, essenziali, intimi e lievi, pieni di buoni propositi e, soprattutto, carichi di sensazioni quotidiane, di riflessioni private, di ombre che sorgono al sorgere del sole. “Crash” rappresenta quel crocicchio di strade tra le arti visive, la musica strumentale, la graphic novel e il reading letterario. Così come Pekar disegnava la propria vita (sentimentale, lavorativa, intellettuale) nei famosi fumetti a partire dal 1976, allo stesso modo la Soldani appronta sei brani di post-rock basilare (?) al fine di condurre, attraverso un’immaginaria colonna sonora, un’indagine su quel che è stata sinora la sua vita.

Compositrice e musicista nonché filmmaker, Maria Teresa Soldani ha militato in diverse realtà toscane per poi trasferirsi definitivamente a Torino, luogo in cui è nato il progetto American Splendor. Diversi gli artisti che l’hanno aiutata in questo percorso: Ramon Moro (3quietmen) alla tromba e al flicorno; Michele Sarda, Enrico Viarengo (New Adventures In Lo-Fi) e Simone Stefanini (Verily So) alla voce. Lei s’è occupata invece di tutto il resto, dalla scrittura vera e propria alle chitarre, fino ad arrivare ai droni e ad un piccolo cantato in “Laminates”.

Essenzialissimi frammenti di chitarra, come fossero ricordi riaffioranti dall’ abisso, fanno decollare il disco in un emozionante viaggio in mongolfiera (“See”) su strade semiasfaltate, campi di roulotte e cani randagi. Dopo il ronzio dronico di “Eastern lights”, giungiamo alla vibrante e semplice “Mouth” che, tra volute chitarristiche per niente barocche, lascia spazio ad un cantato sofferente ed intimistico. Seguono la breve concitazione in cinemascope di “Blissed out” e “A minor tune”, la traccia più stilizzata dell’intero disco. Alla fine la già citata “Laminates”, splendidamente post-rock negli innesti di chitarra, nella comatosa cadenza e nel cantato parsimonioso e rarefatto.

Crash” è un disco sull’ urgenza di estirpare tutti i conflitti, sulla necessità di avere sempre una visione d’insieme, sul bisogno di cominciare a vivere davvero carpe diem. E il progetto American Splendor non potrà certo venir accusato di presenziosità: in fondo è solo la colonna sonora per quei «cani venuti dal nulla a moltiplicare guaiti e ululati».

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