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R Recensione

9,5/10

Audrey Fall

Audrey Fall - Mitau

Partenza:

“I grandi viaggi hanno questo di meraviglioso, che il loro incanto comincia prima della partenza stessa. Si aprono gli atlanti, si sogna sulle carte. Si ripetono i nomi magnifici di città sconosciute.”

(Joseph Kessel)

Nel 1994 sul numero 123 della rivista musicale inglese The Wire viene coniugato per la prima volta nella storia della musica il termine Post-Rock. Nasce proprio in Inghilterra questo vero e proprio sottogenere del Rock. Crescendo negli anni e arricchendosi sempre di più con artisti e gruppi di grande talento musicale che avevano contribuito ad evolvere il genere, aggiungendo elementi sempre nuovi che vanno dal Jazz, Beat-pop, electro, ambient al Metal. Questo genere ancora oggi può benissimo essere considerato Indie, perché nonostante l’espansione e le band oramai affermate, come God is an Astronaut, Mogwai, Russian Circle e Sigur Ros per citarne alcuni, rimane comunque di nicchia e più delle volte autoprodotto o realizzato attraverso iniziative di crowdfunding o piattaforme come Bandcamp. Come è indipendente la sorte di questo movimento musicale altrettanto possiamo definire indipendenti le sonorità che contraddistinguano questo genere. Utilizzando gli strumenti musicali classici del rock che invece vengono suonati concettualmente in maniera differente, dove le chitarre non servono a seguire dei riff ma vengono utilizzati come dei catalizzatori del suono che esercitano sulla velocità e sulla tonalità di una struttura musicale un’azione accelerante o ritardante, prendendo parte agli stadi più importanti della struttura stessa, e poi rigenerandosi, per ritrovarsi così inalterata alla fine del processo. Tutto questo provoca un effetto ipnotico del suono dove la voce viene sostituita dai racconti fatti di melodie intrecciate tra loro, che parlano, coinvolgono, trasportano e poi ti gettano in balia dei tuoi stessi sentimenti ed emozioni, che tale alchimia provoca.

Un esempio perfetto e probabilmente l’apice espressivo di questo concetto sono gli Audrey Fall. Quattro ragazzi di Jelgava, Lettonia, che nel 2014 fanno uscire Mitua, il loro primo e ahimè unico lavoro in studio. Un perfetto esempio del Post Rock/Metal strumentale. Ebbe un discreto successo sulla piattaforma Bandcamp. Attraverso il passaparola degli appassionati sono riusciti a vendere in poco tempo tutte le copie fisiche di quest’album. Tutto ciò purtroppo non bastò a far ritornare i quattro ragazzi di Jelgava in studio. Contattando uno dei membri del gruppo, ci è stato detto che è molto improbabile che gli Audrey Fall tornino a suonare insieme in futuro. Detto ciò, proprio il musicista da noi contattato si è cimentato in un progetto solista col pseudonimo di George Will sfornando un degno erede di Mitau con il suo lavoro uscito nei primi mesi del 2017 dal titolo Dawn.

Il Viaggio :

“ll vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi.”

(Marcel Proust)

Affrontando invece più da vicino le sonorità di Mitau ci troviamo di fronte ad un vero e proprio viaggio musicale, che ognuno può anche interpretare a modo suo, in base alle proprie esperienze, sensazioni o stati d’animo. Il nostro viaggio parte nel lontano 1944 e siamo a Mitau nome germanico della cittadina di Jelgava dove infuria la seconda guerra mondiale, e il così vicino 1945 l’anno della fine di questa tragedia dell’umanità sembra essere così lontano, e per chi vive in quel periodo questa fine delle sofferenze sembra non arrivare mai. L’unica soluzione possibile è fuggire, ma fuggire dove? La guerra è ovunque. Sembra di non intravedere la luce, l’orizzonte è buio, le speranze svaniscono. Notte, l’ennesimo suono delle sirene, l’ennesimo bombardamento, ancora rifugi, terra, sangue, morte, sporcizia e fame. Arriva il giorno, i bombardamenti cessano, sembra la fine di un incubo. Ma quando apprendi che Petrina, storica accademia dove insegnò persino Kant è stata rasa al suolo, capisci che con essa è morta anche una parte di te. In quel momento apprendi che è stato toccato il fondo, e si può solo risalire. Anche se razionalmente sai che nulla può cambiare, con i primi raggi del sole si accende comunque una fiacca e timida luce di speranza, che ti fa credere ciecamente in qualcosa, intravvedi la mano di Dio in quei raggi che ti proiettano verso l’orizzonte che finora non hai mai notato. Decidi finalmente di partire, raccogli tutte le tue forze e le persone a te cari, ti munisci di coraggio e parti pieno di speranze verso Wolmar. Città più a nord di Mitau dove da poco è tornata a regnare la pace. Questa parola “pace” sembra così estranea in ogni sua forma, si sente il bisogno fisico di ogni singolo significato che a essa si possa attribuire, pace dei sensi, pace dell’umanità, pace che è ancora una Chimera. Alla paura, fame e incertezza si aggiunge il freddo, le condizioni sono peggio di prima, ma la natura umana necessita di una mèta, di una speranza da inseguire. Dateci un Dio in cui credere e guidati dal fuoco della speranza diventiamo forti come le querce e decisi come un fiume in piena. Come le acque gelide del fiume Driksa, che con la sua agghiacciante calma e saggezza prima ti accoglie nel suo splendore e poi ti getta nelle proprie intemperie per metterti alla prova. Ti fa dubitare di tutte le tue scelte fatti fino a quel momento, ti senti frastornato, l’indecisione cresce. Gridi a squarciagola. Decidi di prendere una direzione a caso, ed è peggio, sei sempre più confuso, e allora gridi ancora. E mentre il suono delle tue grida riecheggia ancora nell’aria gelida di quel inverno del 1944 ti accorgi della strada da prendere e la imbocchi. Prendendo coraggio e sentendoti più forte e sicuro di prima, verifichi che tutti stiano bene e prosegui il viaggio ricordando i racconti del nonno sulle gesta dell’idealista Bermondt, leader militare che dal nulla è riuscito a radunare un esercito di uomini che credeva nella forza della ragione e combatteva per una nobile causa guidato dalla razionalità e dall’idea che la rivoluzione e la guerra in sé non porta altro che altra distruzione. Il viaggio è lungo, non si va più al Nord, di lì non si passa. E mentre ci dirigiamo sempre più all’Ovest l’umore generale migliora e torna alla mente Veldeka, lontana cittadina austriaca con il suo splendido lago e i suoi paesaggi da mozzare il fiato. Dove tutto sembrava idilliaco e perfetto, e nulla presagiva l’orrore che poi fu portato dalla seconda guerra mondiale. Ad altri venne in mente la vicina Eliass, tipica regione da resort a pochi chilometri da Riga che si affaccia sul mar Baltico e ti culla con le sue onde e ti riscalda con il suo morbido sole. Vederla ora, mentre la attraversiamo, fa piangere il cuore, e fa venire rabbia per l’innata capacità dell’uomo, guidato dalla follia ed ignoranza di distruggere la bellezza e lo splendore della terra che ci ospita. Dopo tanti ricordi e tempi rievocati arriviamo ai confini di Courland Aa. Una regione storica della Lettonia. Ma la sua bellezza naturale e i suoi paesaggi sono nulla di fronte all’importanza strategica che ha in un conflitto militare. E quindi la molto più pragmatica e importante follia distruttiva dell’uomo. La stessa follia che ha prodotto Priboi il programma Sovietico di deportazione di massa per ripopolare le lontane località in Siberia. Arrivati alla regione di Courlandia le tracce dei nostri viaggiatori si perdono, potrebbero esser stati l’ennesimi vittime dei bombardamenti, ma potevano anche salvarsi, e trovare rifugio in qualche paesino di campagna lontano dagli orrori della guerra. Un posto simile alla tranquilla e serena villa Medem  in periferia di Jelgeva. Dove immersi nel verde della natura possiamo tornare a meditare sulla natura del uomo così controversa e così piena di paradossi.

 

 

“Il viaggio è una specie di porta attraverso la quale si esce dalla realtà come per penetrare in una realtà inesplorata che sembra un sogno.”

(Guy de Maupassant)

 

 

 

 

 

 

 

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zagor alle 10:05 del 3 maggio 2017 ha scritto:

bella recensione, complimenti.

baronedeki alle 21:35 del 5 maggio 2017 ha scritto:

Forse questo sarà il mio ultimo commento a SDM cosa che non interessera a nessuno . Posso farti una domanda Zagor. Perché uno con la tua competenza e bravura a scrivere di musica come te non ha mai fatto recensioni. Un sito con ragazzi competenti tipo Cas Target Gazzola Codias Giuseppe Ie. Come si è ritrovato in coma irreversibile. Qualche sbaglio sarà stato fatto . Incredibile come tanta competenza vada perduta. Ciao Zagor grazie per tutti i tuoi grandi consiglii sempre esatti. Di solito poche volte cambio idea tu sei riuscito a farmela cambiare più di una volta. Grazie per avermi risposto tante voltem

zagor alle 23:09 del 5 maggio 2017 ha scritto:

Poni degli argomenti interessanti, ma forse sarebbe meglio parlarne nel forum e non a margine di questa bellissima recensione. Troppo gentile, comunque preferisco fare il battitore e commentatore libero Ovviamente ti invito a commentare ancora, ci sono centinaia di dischi di cui discutere ancora!

zagor alle 23:10 del 5 maggio 2017 ha scritto:

Comunque bello il brano 1944. mi ha ricordato certe cose degli Ulver ( lo dico da ignorante in materia, non fucilatemi).

Volodia, autore, alle 11:25 del 6 maggio 2017 ha scritto:

Ciao zagor Se ti riferisce alle atmosfere e al mood in generale dei primi lavori degli Ulver, e poi al sapore Post "..." dei lavori successivi mi trovi d'accordo con te

baronedeki alle 23:16 del 5 maggio 2017 ha scritto:

Alcune volte dovrei contare fino a 1000 se non di più