Crippled Black Phoenix
Night Raider
Essi giacquero sulla piana di Mora e i venti scuri fischiarono sugli eroi. Cento voci si levarono ad un tempo e cento arpe furono fatte vibrare. Essi cantarono dei tempi antichi e dei possenti condottieri di quelle epoche. E adesso quando udrò il cantore? L'arpa non vibra a Morven, e l'armonia della musica non sale fino a Cona. Il cantore e la sua forza si sono spenti, la fama non è più nelle lande (James MacPherson)
Endtime ballads.
Come in un sogno. La zoppa fenice nera è emersa, ancora una volta, dalle dense nebbie che popolano i luoghi dove sta girando, ininterrottamente, da due anni a questa parte. Ha le piume arruffate, appena bagnate dalle stille di umidità che si condensano a terra. Si posa un attimo a terra, giusto il tempo di riposarsi un po, e poi si libra di nuovo in aria, maestosa e sciancata, alzando un polverone lisergico che ricopre la pianura da cima a fondo. Nel punto esatto in cui si era rannicchiata qualche istante prima, vi sono ora due piatti, neri, leggeri. Con una nota: just rock. Sarà.
Avere fra le mani questo doppio lavoro è una cosa che fa pensare, a lungo e laboriosamente, sia per i suoi fittissimi coacervi lirici e sonori, sia per leffettiva imponenza del progetto. Ha senso ancora parlare di generi, di rigide dighe per confinare i flussi musicali, di etichette entro le quali catalogare interi concept? In virtù di quale assurda fantasia il bassista di una delle formazioni-chiave del post rock e lex, monolitico batterista degli Electric Wizard, maestri dello stoner metal, non potrebbero stringere unintensa e proficua collaborazione, in un ensemble artistico che comprende linserimento di violoncello e fisarmonica? Sono domande spinose e destinate a rimanere insolute poiché, di fatto, non vi sono le aprioristiche condizioni di base per porle. Benvenuti nella terra dEssay, dove soffia lo stesso vento che, millenni orsono, sbaragliava le navi in mare aperto, cullava le trecce delle donne, spazzava colline e brughiere, accarezzava le figure dei leggendari guerrieri rapsodati in mitici componimenti poetici.
A Love Of Shared Disasters, lesordio dei Crippled Black Phoenix datato 2007, aveva ampiamente dimostrato come la confluenza di musicisti dalle estrazioni discordi in un unico supergruppo si rivelasse un parametro di coesione, più che di sbarramento. Strumentali e brani cantati, atmosfere da Apocalisse e squarci di tempesta, canti corali e vaticini liturgici, spoken words e samples: limponente colonna sonora per la deriva umana del Nuovo Millennio, spesso difficoltosa da assorbire tutta in un colpo, ma non per questo priva di fascino e spessore. Il discorso, con la duplice uscita Night Raider The Resurrectionists (per dovere dinformazione, in sede desame andremo a disquisire solo del primo, almeno per ora) si fa ancora più ricco e coinvolgente. Non solo il bagaglio sonoro lievita a dismisura, ma lo stesso concetto di tempo sembra fermarsi, per piegare alle volontà del complesso decine di anime diverse: quella dei bardi, dei predicatori, dei cantori di corte, delle rockstar sguaiate. Visto dallesterno, Night Raider potrebbe quasi apparire, ad un fugace sguardo, un sunto dei cursus honorum degli stessi musicisti. In realtà, la verità è che, senza paura di commettere refusi, i Crippled Black Phoenix abbiano plasmato la loro grande ecletticità stilistica sulla base di brani solidi e strettamente legati fra loro da un filo conduttore rivelato solo dopo reiterati ascolti. In altri termini, qualcosa di nuovo, non nel senso dei valenti presi singolarmente, e nemmeno nel complesso, ma nellinterpretazione data al risultato ottenuto.
Endtime ballads. Ancora una volta. Giù, in caduta a spirale, vorticosamente, senza tirare il fiato, costeggiando quasi venti minuti di completa estasi mistica. Time Of Ye Life / Born For Nothing / Paranoid Arm If Narcoleptic Empire, mastodontica suite dapertura, ha il gusto di chi saccheggia un quarantennio di rock con latteggiamento sacro e mistico di chi ha, in fronte a sé, qualcosa di altamente prezioso. Dal crescendo lancinante iniziale, con un violoncello epico a tagliare in due refoli nordici, al naufragio psichedelico risucchiato da un gorgo hawkwindiano della sezione centrale (parentesi: fate sentire i giri di basso di Dominic Aitchison a cavallo fra i 13 e i 16 minuti a uno come Lemmy!), sino allesplosione conclusiva che, in un delirio orgiastico di effetti ed elettronica, si trascina via unintera parata di archi, tutto sembra così decostruito per realizzare lidea di un connubio ideale tra musica e letteratura basti pensare al titolo della prima traccia, con un pronome personale elisabettiano! , un suggello delle arti visive. Un capolavoro di opulenza espressiva.
Lo spirito della continuità vive con costanza, daltra parte, per tutto il resto del disco. Sembra quasi di assistere ad una parata militare, un risuonare di ottoni vividamente trasportato in pensiero dallenthusiasmòs di un cantore: Wendigo è la tromba del cornicen che chiama alla raccolta, con deliziose sfumature post rock a dissolversi su un andamento introspettivo quasi drone (Eluvium non è un fantasma così distante); Along Where The Wind Blows, in opposizione, è uno schioccante ¾ da balera, con voce rauca e fisarmonica ubriacante a contornare i saltelli ritmici. Tutto sa di passato, ma non è un passato vetusto, in quanto rivive con splendore e dignità attraverso il verbo e lazione dei contemporanei (Onward Ever Downwards, bellissima carezza di folk elettrico scompaginato in chiave grunge, quasi come se Eddie Vedder avesse marciato a ritmo della banda dapertura). Allo stesso modo Bat Stack, druidico melange dallascendente tenebra, viene risolto con passione in un sensuale testa a testa tra fiati e pianoforte, proiettando ombre squadrate al suolo.
Lo scontro di cui si narrerà per secoli è, ancora adesso, in azione. Gli echi dei clangori si sentono nella sbilenca acustica di Trust No One, nellanimoso climax ascendente di A Lack Of Common Sense (quasi commovente il modo in cui la strumentazione irrompe sulle docili trame vocali, col passare dei minuti) e nellagonia pianistica, acuita da fitte coltri tastieristiche, della conclusiva I Am Free, Today I Perished, un dimesso commiato per il seguito che verrà. Soprattutto, la battaglia infuria in queste canzoni, fra brandelli di generi ed epoche, personaggi e perdenti, vincitori e vinti (ma chi è davvero il vincitore, e chi il vinto?). Più endtime ballads di così, si muore.
Se per voi il trovarvi di fronte allaridità dei nostri tempi è un colpo troppo grosso da sopportare, passate avanti con virgiliana indifferenza. Ma, credetemi: se riuscirete ad andare oltre il semplice ascolto, calandovi in prima persona dentro questa microrealtà e vivendo sulla vostra pelle tutte le sensazioni che un ascolto del genere può donarvi, spiccherete il volo come luccellino nero qui considerato.
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