Electric Sarajevo
Madrigals
Sulla strada per Sarajevo (a detta della band, un luogo simbolico di distruzione e di rinascita), un fremito, una scossa ondulatoria invade lo spazio visivo e increspa le sembianze dei panorami che si aprono oltre il parabrezza. L'opera prima dei romani Electric Sarajevo, si rivela essere un elaborato congegno sonico, messo a punto in un lungo arco temporale, con un livello di maturità a tratti disarmante, disorientante. La miscela che prorompe, altamente volatile, è uno strano intruglio a base di post-rock Ulveriano ibridato tanto con i Mogwai più elettronici quanto con i God Is An Astronaut più minimali, ma anche e soprattutto con 65daysofstatic, Archive, Radiohead (quelli di "In Rainbows"), The Album Leaf, The Notwist, Mothlite, North Atlantic Oscillation: un post-rock disturbato e sfuggente intriso di un synth-pop introspettivo e malinconico, che esplora traiettorie melodiche che hanno tutta la potenzialità di raggiungere il cuore di un pubblico non strettamente di nicchia.
Lasciarsi scorrere il mondo attorno mentre lanima è invasa da questa alterità musicale, dai giri di chitarra così familiari eppure così trasfigurati (e trasfiguranti), immersi come sono nel loro emozionale liquido amniotico (messo in circolo da tastiere dal retrogusto 80s, dai Simple Minds ai New Order), permette agli occhi di vedere gamme di colori altrimenti invisibili in questa era contemporanea.
Lost, Impero, in apertura è il manifesto programmatico di una band che sa lavorare di fino tanto con i suoni, quanto con le armonie, sapendo trovare un equilibrio fra la propensione a lasciarsi ad andare a digressioni strumentali e la volontà di raggiungere forme dal senso compiuto: sullo sfondo laffastellarsi di frammenti impazziti di testi recitati in italiano, mentre lenta e brumosa fluisce la musica accarezzata da un introverso canto in inglese.
Watercolours, The Worst Lover (un vero gioiello di pop affranto, disegnato per ammaliare sin dal primo ascolto) e The Sky Apart, forti di una struttura song-oriented efficacissima, hanno una capacità comunicativa che potrebbe portarle ad avere un ottimo riscontro radiofonico.
Certamente in più punti verrebbe da pensare che gli Electric Sarajevo hanno imboccato un sentiero che sarebbe stato percorribile anche dai Giardini di Mirò dopo che le maree del loro album di esordio si erano ritirate. Così non è stato e dunque qualche parallelismo emerge e poi scompare fra le pieghe decisamente elettroniche predilette dalla formazione composta da Paolo Alvano, Massimiliano Perilli, Andrea Borracino e Stefano Tucci.
A Revelation regala pulsanti suggestioni in grado di rievocare i numi della new-wave più manipolata dalle macchine (John Foxx ma anche la citata band capitanata da Peter Hook).
Teresa Groismann è la punta di diamante di un album dalle molte sfaccettature sebbene stilisticamente coeso nel suo rivelarsi: evocativo, epico eppure equilibrato, sottocutaneo, il brano non mira a inondare gli argini (a ribadire che la forma canzone o meno che sia non deve sacrificata in virtù di quella tracotanza strumentale sin troppo rincorsa da miriadi di post-rockers), bensì a creare meticolosamente la location più idonea per rappresentare uno stato d'animo.
The Madrigal è invece uno di quei momenti che ci rammentano, nello snocciolarsi di appena una manciata di note, che tutta l'illusione ottica ascrivibile ad un certo post-rock di estrazione Mogwaiana (passando per God Is An Atronaut, Explosions In The Sky e via discorrendo) ha le radici che si protendono nell'aria con le medesime traiettorie degli arpeggi dei The Cure. Davvero tutto origina da lì, anzi tutto è lì: dunque certamente, pur nella sua concisione, The Madrigal è il pezzo dell'album che più ha le parvenze di uno "standard".
La componente ritmica, rigorosamente frutto di drum-machine e di palpitazioni programmate, è uno dei punti cardinali del sound degli Electric Sarajevo: talvolta allostinatezza di ricorrere solo a questo tipo di soluzione poteva forse fare da contraltare lalternanza con una batteria in pelli e legno. In particolare la conclusiva If You Only Knew si torna agli Ulver più sedotti dalle mutazioni cibernetiche ne avrebbe giovato grandemente, in particolar modo nel finale, anche se questo appare comunque carico e tale da lasciare il segno.
Un esordio così "pregno" è stato possibile solo in virtù della lunga esperienza coltivata altrove (in altre band, in altri progetti) da tutti i componenti della formazione capitolina.
Se per alcuni artisti si fa riferimento al connubio genio & sregolatezza, per gli Electric Sarajevo parlerei di ingegno & regolatezza: Madrigals è un album che sa mettere in luce le ombre e che, allo stesso tempo, sa rendere crepuscolare la luminosa vena melodica che è connaturata alle intricate trame del loro gobelin sonoro.
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