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R Recensione

7/10

Hermitage

Oh No, It Wasn't The Airplanes, It Was Beauty Killed The Beast

Potremmo chiamarla Marsiglia revolution, facendo un parallelismo con la Gooom revolution che in Francia ha portato all’ affermazione di alcuni dei gruppi più sorprendenti della galassia indie elettronica mondiale (M83 su tutti). A sostegno di questa proposta il fatto che la Marsiglia records ha contribuito in maniera sostanziale a rendere Genova, la città in cui opera, una delle realtà musicali più interessanti e innovative nostrane. Proprio come la Gooom, tutt’altro che intimidita dal suo status di piccola etichetta indipendente, è riuscita a cogliere e comprendere lo straordinario momento di effervescenza artistica che caratterizza la città ligure e le sue zone limitrofe, e a sostenere, dare una canale tramite cui esprimersi alle band emergenti da quel contesto.

La Marsiglia records è stata insomma capace di scoprire e di farci scoprire, tanto per citare qualche nome, le delizie ambient techno dei Port Royal, le inquietudini drake-iane dei Lo-FI Sucks, il minimalismo elettronico dei Japanese Gum,  il post rock (già) maturo degli Hermitage. Di questi ultimi è difficile dimenticare il loro secondo Ep, quell’ As In Open Space che aveva stupito non poco quando uscì: in quelle tre tracce si poteva già ammirare un gruppo in grado di esprimere in maniera personale un genere, il post rock, che per sua natura non offre soluzioni particolarmente variegate. Su quei solchi si respiravano atmosfere e interessi variegati, frastagliati. La malinconia strutturale di Mogwai e Slint ma anche il lirismo ambientale dei Sigur Ros e ovviamente le sinfonie plastiche dei concittadini Port Royal.

Da quel As In Open Space poco sembra essere cambiato. Un altro Ep, con altre tre canzoni. Altra copertina lucida, sospesa, minimale. Ma Oh, No It Wasn’t The Airplanes, It Was Beauty Killed The Beast affronta il post rock con un altro piglio, forse più professionale, forse però anche meno innovativo. Mancano qui le trovate che avevano maggiormente stupito in As in open space, come la registrazione in loop di un intervista a Pasolini, struttura portante dell’ inquietudine di 1859, le dolci tendenze sinfoniche che incapsulano Glass, le nenie dreamy con tanto di accompagnamento violinistico di Next Five Km, e resta in generale latente quella varietà e libertà che aveva garantito al gruppo genovese giudizi positivi un po’ da tutte le parti. 

Nonostante ciò i tre movimenti di Oh No, da vedersi come un tutt’uno, trasformano in realtà gli Hermitage da eccentrici principianti a seri e rigorosi rappresentanti del post rock strumentale e atmosferico. Perché l’instancabile andare e venire di battiti e flussi, di percussioni fredde e secche e di astrazioni shoegaze a perdersi in altre dimensioni, ricorda i migliori Mogwai, la loro costante tensione verso il sublime raggiunge livelli che in Italia, in ambito post rock, pochissimi gruppi sono in grado di eguagliare. Vi è soprattutto in Princess Leyla quella strabordante delicatezza, quella volontà di uscire da schemi prefissati che travolge e (com-)muove l’anima. Qui è tutto movimento e dinamicità laddove Ulrike è stasi, o meglio, lento fluire, incresparsi e spegnersi regolare di onde non troppo fragorose. Il gran finale di The postman’s Secret Hate ci inebria di quella malinconia che resta sottesa a tutto l’album e che non ci fa rimpiangere As in open space.

Nella maggiore ortodossia e compattezza di Oh no vi è il riflesso di un gruppo che pare essere oramai pronto a  destreggiarsi fra le due componenti che animano il progetto Hermitage, il bisogno di appartenenza a un genere e di rispettarne le regole, e quella di volerne allo stesso tempo uscire, di battere nuove strade. La prima, auspicabile a auspicata, prova su LP potrebbe essere anche la prova del nove per un gruppo che resta fra le più interessanti promesse che il nostro Paese possa offrire.

V Voti

Voto degli utenti: 6/10 in media su 2 voti.
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C Commenti

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Alessandro Pascale (ha votato 7 questo disco) alle 11:06 del 28 maggio 2010 ha scritto:

confermo

niente male i giovini