R Recensione

6/10

Human Bell

Human Bell

Quando parte l'omonimo debutto degli Human Bell, due sono i nomi che per primi affiorano alla mente: il primo è quello degli Arbouretum, straordinario supegruppo roots-psichedelico, per le chitarre terse e per il sottile odore di terra che emanano, il secondo è quello dei Papa M e dei Lungfish, per i ghirigori aritmetici che lo attraversano.

Il che non è affatto strano se consideriamo che negli Arbouretum militano membri dei due gruppi, che medesima è l'etichetta che ne firma ed ha firmato i lavori (la storica Thrill Jockey) e che gli Human Bell sono formati proprio da Dave Heumann degli Arbouretum e Nathan Bell dei Lungfish.

Il primo ci mette la vena desertica, i riverberi stanchi dei Calexico e qualche punta di apertura alla “musica del mondo”: un riflesso del sole del Mali pare illuminare le corde ossidate in Splendor and Concealment, e qualche goccia di malinconia slavica sembra insinuarsi (ma forse è solo un miraggio) tra le note di Ephaphatha (Be Opened).

Il secondo ci mette, oltre al nome, quella stessa, strenua circolarità, che ha fatto dei Lungfish uno dei gruppi più classicamente estenuanti del post rock storico: a cui pagano pegno in questo disco le melodie appuntite, i contrasti quiete-rumore, quel sottile senso di tensione melodica che ci ha fatto amare, ormai dieci anni fa, gruppi come June Of '44 e Aerial M, per poi farci buttar via di lì a poco il giocattolo come bambini bulimici e viziati.

Dieci anni che si fanno comunque sentire, fortunatamente, in un disco che non è sterile riproposizione di canovacci ormai stantii (Six Parts Seven, anyone ?), ma che non tocca nemmeno le vette eccitanti del decantato Mirrored firmato Battles: e l'incedere placidamente infuocato del disco pare tradurre in musica una tensione ancora irrisolta tra la smania di andare avanti e la necessità di guardarsi indietro.

Le due chitarre, terrigne e tremule si sfidano a duello, sfoderando affondi nostalgici e guizzanti colpi da maestro: ne esce un disco che alterna momenti sfibranti ad altri eccitanti, ostaggio di un immaginario guado musicale. Guado in cui gli appassionati del genere potrebbero decidere di affondare con voluttà. Agli altri, perlomeno ai fan degli Arbouretum, resta un disco che vale quanto meno un paio di ascolti per saggiare il terreno e la scelta se proseguire o meno.

V Voti

Voto degli utenti: 6,7/10 in media su 3 voti.
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REBBY 6/10

C Commenti

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Alessandro Pascale (ha votato 7 questo disco) alle 0:04 del 6 febbraio 2008 ha scritto:

avendo apprezzato gli arboretum in effetti ho apprezzato anche questo. Post-rock circolare forse un pò stantio sulla lunga distanza ma discretamente coinvolgente. E cmq ovviamente suonato ottimamente.