R Recensione

9/10

Jesu

Jesu

Jesu porta impresso il marchio ben definito di un uomo: Justin K. Broadrick. E’ lui infatti a tener in piedi un progetto che porta avanti una ricerca sonora iniziata come chitarrista dei Napalm Death e proseguita nelle file di Final, Techno Animal e soprattutto Godflesh. E tanto vale dirlo subito: porta avanti una carriera gloriosa con un grande capolavoro.

Non si può fare a meno di pronunciare questa parolina magica alla fine dell’ascolto del disco. Settantaquattro minuti che formano un insieme pesante, difficile da sostenere dall’inizio alla fine. Che ascoltato come si deve questo disco porta a inevitabili sconquassi fisici: se non saranno le orecchie sarà infatti il vostro cuore a cedere.

Non si sta ovviamente parlando di canzoni d’amore, ma dell’esatto opposto: siamo di fronte a un percorso di alienazione, di meccanica e disperata desolazione spirituale. Tutto questo espresso con rabbia e odio da un unico imponente feedback scaricato al massimo contro lo stereo. Ascoltare per averne una prova uno qualsiasi degli otto brani che compongono l’album (media di quasi dieci minuti a pezzo).

Si prenda Your Path To Divinity, pezzo d’apertura del disco: una mastodontica onda sonora elevata all’ennesima potenza, uno stridio frustrante, angosciante, un salto nel buio. No, solo nel buio non è sufficiente, è un salto nell’oscurità fatta materia, è la possibilità di toccare l’ignoto. Che è questa l’impressione che si prova: toccare l’ignoto, immergersi fino alla notte dei tempi e ritornarne a galla senza l’anima, rimasta impigliata nelle tenebre. Da questo brano si può già intuire la direzione che prenderà il resto del disco.

I Jesu non si muovono di un millimetro da questo suono: un pazzesco intreccio di metal (Immortal, Black Sabbath, i Metallica di Justice for All), industrial (Chrome, Nine Inch Nails), post core (Big Black, Jesus Lizard), shoegaze (My Bloody Valentine), noise (Jesus and Mary Chain), doom (Sunn O)))) e post rock (Slint, Codeine, Mogwai). Semplificando all’estremo si potrebbe dire che il disco presenta un perfetto connubio del metal più goth con il post rock più noise. Verrebbe quasi voglia di parlare di post metal, non si fossero già messe in fila fin troppe definizioni.

Definizioni che forse lasciano il tempo che trovano, ma che aiutano a rendere conto della complessità di un album di eccezionale potenza, sia per il tenore dei brani sia per il un senso di originalità e di novità davvero rari.

Si assiste ad un terribile susseguirsi di note apocalittiche inchiodate da una volontà rumoristica primordiale. La distorsione regna sovrana e si dilata nello spazio oltre che nel tempo creando un contraltare allo space rock “solare” di Pink Floyd e Tangerine Dream per creare l’immagine di uno spazio ostile e malefico in cui a trionfare non sono deliziose stelle ma pianeti lugubri e accoglienti lande spettrali. E sorprendente è il contrasto tra l’orgia sonora ordita e l’emozionante cantato malinconico (e quasi sempre melodico) di Broadrick.

Questa non è musica per bambini. Questa è musica da ascoltare di notte, quando tutti dormono e rimanete solo voi alla finestra a guardare la luna piena fumando una sigaretta. Se siete abbastanza forti vi sentirete solo sconvolti emotivamente. Altrimenti vi ritroverete d’improvviso circondati da un nugolo di autoblindati cigolanti dal passo marziale che si preparano con la calma più assoluta a passarvi sopra il corpo.

La disperazione.

Brutta cosa la disperazione.

Però vederla scolpita in questo affresco sonoro, meraviglioso nella sua durezza, lascia comunque a bocca aperta. Se ve la sentite di scoprirlo attraverso un’ora abbondante di apocalisse personale questo disco è quello che fa per voi.

E’ roba da masochisti, ce ne rendiamo conto.

Ma ne vale la pena.

V Voti

Voto degli utenti: 7,4/10 in media su 4 voti.
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REBBY 6/10
ThirdEye 8,5/10

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