R Recensione

8/10

Joan of Arc

Boo! Human

Non ditelo troppo ad alta voce, ma il post-rock è ancora qui. Esiste tuttora, ammesso che lo abbia mai fatto realmente. Perché l’impressione è che la definizione “Post-rock” fosse solo un contenitore vuoto in cui riporre tutto ciò che non si poteva classificare.

C’è stato un periodo in cui tutti ascoltavano post- rock, tutti suonavano post-rock e tutti parlavano di post-rock. C’erano centinaia di bands post-rock a Chicago, riunite intorno allo studio di registrazione di John McEntire dei Tortoise, altrettante a Louisville, tutte adepte di “Bible silver corner”(primo pezzo dell’album “Rusty” dei Rodan) e c’era una scena post-rock nel Regno Unito (Mogwai, Arab Strap …). Era post-rock il modernariato degli Stereolab e la canzone d’autore degli Smog, lo slow core dei Bedhead e il delirio ritmico dei Don Caballero, il rock da camera dei Rachel’s e quello spigoloso dei June of ’44, il punk sghembo degli Shellac e le ballate morbide dei Red house painters. Ad un certo punto si avvicinarono al post rock anche i Sonic Youth (“N. Y. C. ghosts and flowers” – 2000, con Jim O’Rourke in formazione), i Fugazi (“The Argument” – 2001), e più recentemente Vic Chestnutt (“North star deserter” – 2007, interamente suonato da membri dei Godspeed you black emperor).

Queste strane convivenze furono rese possibile solo dalla geniale (o stupida?) genericità della definizione coniata dal critico musicale Simon Reynolds. Insomma, il post punk deve contenere almeno una matrice “punk”, l’hard rock deve avere una connotazione “hard”ed il nu-metal dovrà avere una connessione con il metal. Ma il post-rock? Se consideriamo che la definizione “rock” può classificare un’area musicale che va da Little Tony ai Motorpsycho, affermare che esista una matrice “rock” non è un grande indizio. Se in più aggiungiamo il suffisso “post” siamo finiti.

Allora facciamo così, atteniamoci all’etimologia della definizione e concludiamo che il post-rock è solo la destrutturazione della canzone rock, idea nata con alcune bands di Chicago che utilizzavano l’impianto rock al servizio di musica che superava (post) la forma-canzone rock. Bene, allora il post rock è Mike Kinsella. Uno che di mestiere fa il barista al Rainbo (la Mecca del post-rock di Chicago) e nel tempo libero suona nei Cap’n Jazz, negli Sky Corvair, negli Owls, nei Friend/Enemy, nei Make Believe, negli Everyoned, nei Tim Kinsella(s) e soprattutto nei Joan of Arc. Uno che ha preso il punk emotivo dei Fugazi e lo ha deviato verso forme “arty” nei primi album dei Joan of Arc (“A portable model of “ e “How memory works”), uno che, sempre come Joan of Arc, ha pubblicato un capolavoro come “The gap” nel 2000, album inclassificabile (e che quindi definiremo post-rock), scrollandosi di dosso l’odiata etichetta “emo”, felicemente ceduta ai Promise ring dell’ex compare (nei Cap’n Jazz) Davey von Bohlen.

Mike è ancora tra noi. Anche se di post-rock non si parla quasi più (o se ne parla a sproposito, per gruppi come Sigur Ros o Explosions in the sky). Anche se il solo pronunciarne il nome in pubblico potrebbe attirarvi sguardi di compassionevole riprovazione come se diceste “a me il governo Prodi non dispiaceva” in un centro sociale. Eppure Mike è ancora tra i migliori (post)rockers e (post)songwriters in circolazione: con la sua voce stonata (“So and so”, per chitarra acustica e voce, sembra Damien Rice alle prove della recita scolastica di seconda elementare), con i suoi ritmi geometrici (“Laughter reflected back”, più Joan of Arc di così … ) e con tante novità.

Il vero esperimento per i Joan of Arc è dare alle canzoni una struttura lineare (“Just pack or unpack”, jam session fra i Tortoise e i Police?), una melodia compiuta che conduca il pezzo alla fine (“A tall-tale penis”, splendido intreccio di chitarre e piano). Tentativi in verità già portati a termine nel precedente “Eventally, all at once” del 2006.

Ma in “Boo! Humans” non c’è solo l’abbandono della destrutturazione della canzone compiuta col già citato “The gap” e con il suo successore “So much staying alive and lovelessness” (2003). C’è molto di più: ci sono semplici arpeggi di chitarra a sostegno di una voce in (stonato) falsetto (“Shown and told”); c’è una formazione allargata (violini, viola ed organo in “9/11 2” e “If there was a time 2”, sintetizzatori in “The surrender 1”); e almeno un brano perfetto, quel “Vine on a Wire” in cui, Mike, tra chitarre rubate agli ultimi Blonde Redhead e rimandi ai Modest Mouse più melodici, canta “The only impossibile thing has happened”. L’impossibile è accaduto: a Chicago suonano ancora ottimo post-rock. La sola cosa veramente impossibile sarebbe scrivere diciannove volte la parola “post-rock” e neanche una volta la parola “Slint”. Ma io non sono mica Mike Kinsella.

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krikka 4/10
REBBY 6/10

C Commenti

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loson alle 22:57 del 12 luglio 2008 ha scritto:

bella recensione, ma...

...continuerò in eterno a non capire perchè si accetti tranquillamente la genericità di un termine come post-punk (col quale s'inquadra una selva di generi e stili, molti dei quali sono gli uni antitesi di altri), mentre non si riesca proprio a digerire un termine come post-rock... Ma vi dà fastidio? Ma cambiatelo in Nonna Papera, se proprio vi sembra esteticamente deficitario o filologicamente ambiguo.

L'importante non è l'esegesi del termine, quanto il fatto che questo inquadri un fermento creativo ben definito, quello che tu stesso, Fabio, hai inquadrato (anche se Smog e Red House Painters c'entrano un pò come i cavoli a merenda) all'inizio dell'articolo.

fabfabfab, autore, alle 15:33 del 14 luglio 2008 ha scritto:

La questione delle etichette da imporre agli artisti è sempre controversa. Infatti, è assai raro trovare artisti disposti ad accettarle. D'altra parte, tu stesso lamenti la genericità del termine post-punk, genere che probabilmente apprezzi particolarmente. Quello che volevo fare io era parlare di un gruppo post-rock per definizione, sottolineando il fatto che post-rock non significhi nulla. Perchè se è vero che "Smog e Red House Painters c'entrano un pò come i cavoli a merenda" è altresì vero che non possono essere definiti post rock gli Shellac o gli Stereolab, probabilmente perchè nulla (e quindi tutto) può essere definito post-rock, definizione che, per genericità, è seconda solo ad "alternative". Le etichette servono, purtroppo, a tutti coloro che hanno bisogno di catalogare la musica. Tra essi, giornalisti, critici e soprattutto bottegai. C'è una nota catena di negozi francese, presente anche in Italia, che cataloga tutto l'esistente sonoro del pianeta in 7 categorie: "Classica", "Jazz", "Pop Rock", "Italiana", "Dal Mondo", "Alternative" e "Nuovi Suoni". Più generici di così.

loson alle 21:03 del 14 luglio 2008 ha scritto:

RE:

In primis, non è che apprezzi particolarmente il post-punk... Lo apprezzo, esattamente come apprezzo il progressive, il krautrock o la techno. Nell'evidenziare la genericità del termine post-punk volevo soltanto far presente come quasi ogni sottogenere del rock (o popular music, che dir si voglia) sia definito da un termine vago o tendenzialmente "stupido" (come, a tuo giudizio, è post-rock). Pensa soltanto quei due o tre che ho citato due righe più su, c'è di che scompisciarsi! Le etichette (che non sono strumenti così disprezzabili, a mio avviso) sono necessarie a chiunque voglia parlare di musica, e quindi anche a te e me. A maggior ragione dovrebbero importare a chi recensisce, sennò potrebbe farlo chiunque, anche chi non ha conoscenza in campo musicale. E poi essere troppo generici è controproducente: cosa vuol dire "classica"? Musica romantica? Barocca? Dodecafonica? Seriale? E' necessario avere più informazioni, e non per "catalogare" ma per "capire" un disco o un artista. Ecco il mio pensiero: l'etichetta o il "genere" aiutano a comprendere il senso di quello che l'artista sta facendo. Non mi dilungo su quello che io intendo per post-rock e sulla visione che ho di esso (c'è già un thread apposito a riguardo), anche perchè credo siano ravvisabili alcune genealogie ben precise e affinità di suono fra molti dei gruppi finiti nel calderone. Cmq grazie per la risposta e per la tua disponibilità al confronto, Fabio.

P.S. Gli Sterolab sono post-rock, a mio parere

fabfabfab, autore, alle 12:59 del 15 luglio 2008 ha scritto:

Perdonami, ho espressamento sottolineato la necessità delle definizioni, delle categorizzazioni e della creazione di termini volti ad includere gruppi e sottogruppi di artisti per affinità sonora. Sono daccordo sul fatto che siano assai utili per chi, come e meglio di noi, scrive di musica. Era proprio lì, la mia critica. Nell'aver creato una etichetta, un "tag", talmente ampio da poter includere tutto. Nella recensione ho scritto che c'era un periodo in cui tutto era post-rock, o poteva esserlo. La stampa specializzata inseriva nel calderone post-rock tutto ciò che non riusciva a descrivere con esattezza, come "potrebbe farlo chiunque, anche chi non ha conoscenza in campo musicale". In questo modo infilavano nel cesto "post-rock" gli Smog, i Red house painters, gli Stereolab, ma anche Will Oldham (visto su un famoso mensile italiano), Cat Power (idem) ... E' innegabile che l'estrema genericità della definizione (perchè tra dire "post" e dire "kraut", c'è differenza, come c'è differenza tra "rock" e "punk", che del rock è già una sottocategorizzazione) abbia consentito a molti di svolgere il proprio lavoro senza dover compiere grandi sforzi. Tutto lì. Discutere con te è un piacere, davvero, ma questo disco l'hai ascoltanto o te ne batti altamente gli zebedei dei Joan of Arc?

loson alle 14:13 del 15 luglio 2008 ha scritto:

RE:

Dei Joan Of Arc ho ascoltato soltanto "The Gap" che mi piace abbastanza, ma non tanto da invogliarmi a recuperare altre cose della loro discografia. Questo nuovo "Boo! Human" penso di procurarmelo, visto che ne parli così bene. Rimando il mio commento sul disco a dopo i primi ascolti.