R Recensione

9/10

June of 44

Anahata

È la prolifica Louisville nello stato del Kentucky la patria dei June of ’44. Concittadini dei seminali Slint, ne ereditano lo stile lento e cadenzato, slowcore, codificandolo in quello che verrà poi identificato come post rock.

Saldamente ancorati ad uno stile ricco di improvvisazioni e a trame scandite su strutture geometriche, stupiscono per imprevedibilità e intensità.

Provenienti da band come Codeine (il batterista Dough Sharin) e Rodan (il chitarrista Jeff Mueller), esordiscono nel 1995 con Engine Takes To The Water su etichetta Quaterstick, delineando fin da subito quelli che saranno i marchi di fabbrica di tutta la produzione successiva.

Distonie e cadenze rallentate, di cui abbiamo già detto, a cui si aggiungono liriche alternativamente sussurrate, declamate o urlate a squarciagola da Mueller o Erskine (che suona anche il basso e la tromba). Progressioni strumentali che mischiano influenze quanto mai diverse, dall’hardcore al pop, dal jazz elettrico al progressive, da Davis ai Fugazi e ai Jesus Lizard.

Definito da alcuni come un album “di transizione” Anahata (Quaterstick, 1999) ti colpisce subito, diritto allo stomaco con Wear Two Eyes, riarrangiamento di Boom, già pubblicato sull’EP The Anatomy Of Sharks (Quaterstick, 1998), con la cadenza ossessiva della batteria (boom, boom, appunto) sulla quale si inseriscono gli intensi assoli di tromba di Erskine e le chitarre distorte e ripetute in un loop psichedelico.

Dopo il lamento vocale e le dissonanze feroci di Escape Of The Levitational Trapeze Artist finalmente ci è concessa una tregua nel più lento Cardiac Atlas, con tanto di arrangiamenti d’archi e influenze funk su cui si innesta però un cantato alla Fugazi. Segue l’ipnotica Equators Bi-Polar, poderosa cavalcata ai confini del il pop.

A seguire il ritmo matematico e gli echi di chitarra di Recorded Syntax, la delicata Southeast of Boston, cantata a doppia voce con la vocalist Chiyoko Yoshida, e Five Bucks in My Pocket con i suoi inserti elettronici e il funk che si ritaglia uno spazio sempre più incisivo. A chiudere i dieci minuti della splendida Peel Avay Velleity, psichedelica e abrasiva al punto giusto.

Mix di ricerca e sperimentazioni, mischiate a formule più collaudate dalla musica rock, Anahata è una sintesi matura dell’approccio non convenzionale alla melodia e alla composizione tipico del post rock.

V Voti

Voto degli utenti: 7,9/10 in media su 6 voti.
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george 9/10

C Commenti

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george (ha votato 9 questo disco) alle 17:50 del 17 aprile 2009 ha scritto:

....

....è una vita che non lo ascolto ma ricordo di averlo divorato!

FrancescoB (ha votato 7,5 questo disco) alle 9:49 del 5 gennaio 2013 ha scritto:

Disco notevolissimo. Non lontano dai vertici del loro capolavoro, "Four Great Points".