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R Recensione

7/10

Locrian

Return to Annihilation

I Locrian sono un trio di Chicago tenebroso ed inquietante, che si caratterizza per un sound caotico, rumoroso, spaventevole, in un crossover di black metal, noise e post-rock; eppure, accanto a questa tendenza metallica, accompagnano una vena più distesa che viene così a formare una nuance con la musica ambient. Nel 2012 avevano pubblicato un doppio album (“The clearing / The final epoch”), ricevendo molti apprezzamenti; son tornati un anno dopo con questo disco catastrofico, intento a distruggere ogni estetica musicale. Se diamo un’occhiata alla strumentazione utilizzata in “Return to annihilation” ci rendiamo conto di come i tre americani si dilettino ad amalgamare i suoni più disparati: Steven Hess suona batteria e batteria elettronica Simmons SDS1, live electronics e timpani; André Foisy è l’addetto alla chitarra elettrica ed acustica, al Moog Minitaur e al basso; Terence Hannum canta e suona sintetizzatori Arp e EDP Wasp, Moog Satellite e Little Phatty, MicroKorg, pianoforte e mellotron. Da un impasto tale di elettronica e rock dronico il risultato non poteva tradire le aspettative, che in realtà sono pressoché nulle.

Sin dal primo pezzo, “Eternal return”, i Locrian si fanno portatori di un metal molto poco metal, dove alle tipiche insofferenze dei Mayhem troviamo un’invidiabile sfumatura post-rock: il mood è quello frustrato e depresso del black metal, ma col placebo dei droni il risultato finale diventa molto più affascinante. Anche se siamo in presenza di un’apologia della desolazione e del nichilismo, i Locrian riescono a rendere ogni traccia coinvolgente. In “A visitation from the wrath of heaven” il sentimento dominante è l’ossessione, con un martellamento ripetitivo di ben otto minuti; in “Two moons” abbiamo l’idealtipo di post-rock di matrice statunitense, dove alle chitarre distorte si affiancano via via scampanii, infiltrazioni elettriche ed elettroniche, dilatando sempre più il ritmo della batteria; stesso discorso per “Exiting the hall of vapor and light”, in cui non c’è traccia di concitazione, né di furia, né tantomento di violenza.

La title-track e “Panorama of mirrors” tornano invece al tema iniziale, miscelando il lato oscuro del metal con una certa rimembranza krautrock, fino a formare un pericoloso vortice di crudeltà sonora e mattanza infernale. Qui il trio di Chicago smonta pezzo a pezzo la struttura classica del rock per dar vita ad una creatura informe di chitarre infiammate, lontanissime voci urlanti e bordate di synth tali da creare un impatto sonoro senza precedenti. Infine, con “Obsolete elegies” (al violino qui c’è Gretchen Koehler), i Locrian ci regalano un intensissimo quadrittico geologico: dall’equilibrio gravitazionale di “Isostasy” alla vaporosa miscela ambientale di “Digression of air”, dall’esoterismo scientifico di Thomas Browne di “Hydriotaphia” alla leggerezza del quarzo di “In felsic splendor”. Adesso è tutto più placido, la foga precedente è svanita per lasciare il posto ad una sorta di progressive in stile Tangerine Dream; l’efferatezza dei Locrian s’è piegata su sé stessa, sostituita da una profonda nostalgia delle cose che furono e non sono più.

Coerenti sino alla morte, nei quattro precedenti LP i Locrian avevano già sperimentato il mix di post-rock e scienze minerarie, ma con “Return to annihilation” si sono superati. Questo è un disco scontroso che comincia incendiario e finisce sfiancato, pur tra mille riverberi impetuosi; ed è proprio questa la sua forza: dimostrare che ogni entusiasmo umano deve fare i conti con l’annientamento. Al pari, ogni opera musicale deve scontrarsi con la sua irrimediabile fugacità. Disco interessantissimo.

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