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R Recensione

7/10

Long Distance Calling

Avoid The Light

Bastano poche note, una manciata di secondi, il tempo che il suono di “Apparitions” cominci a scorrere dai solchi del cd e si propaghi, avvolgente, per tutto l’ambiente d’ascolto. Delay, effetti sintetici, ritorni acustici ma, soprattutto, l’ingrediente principale: il wall of sound. Pian piano, minuto per minuto, comincia ad ergersi un muro di chitarre, a costruire liquidi tappeti di melodie bruciati, un istante dopo, da sfuriate heavy che perdono tutta la loro delicatezza per sfogarsi sordamente, con elegante ferocia. È un ritorno a casa, con la tempesta nel cuore.  

Tira forse meno freddo dalle loro parti, rispetto ai stalagmitici e crepuscolari inverni islandesi dei Sigur Rós, o alle nebbiose brughiere in cui muovevano i primi passi i Mogwai. Di certo è che i berlinesi Long Distance Calling hanno dei punti di riferimento ben precisi in mente e, nonostante al termometro manchino diversi gradi per poter sublimare alla perfezione gli esterni con la musica proposta, li sanno ben giocare. Il quintetto non si nasconde dietro un dito, e suona, più o meno, tutto ciò che, in questi tetri anni di nulla, è stato definito come post: l’impianto, sicuramente rock nello svolgersi d’azione dei pezzi, tutti molto lunghi – dai sette minuti in su - e giocati su un dinamico intreccio di chitarre, che alla quiete antepone di gran lunga il mordente, sfora però anche nel metal allorquando, deposti effetti, distorsioni e quant’altro potesse richiamare alla memoria i paradigmi più felici degli scozzesi di Glasgow (ma possiamo dire, con tutta tranquillità, anche degli Explosions In The Sky più rumorosi e meno barocchi), i ragazzi pensano solamente a frapporre, tra loro e il proprio strumento, un amplificatore adeguatamente regolato, per snidare riff estremamente taglienti e ricchi di spessore emotivo.  

Avoid The Light”, seconda prova in studio per i Nostri, è un disco che, poco ma sicuro, non riserva una sorpresa che è una. A qualcuno la notizia potrebbe deprimere, a qualcun altro piacere. Su un punto, in ogni caso, detrattori ed osanna tori dovrebbero essere d’accordo: c’è una differenza sostanziale che concorre fra i teutonici e le dozzine di gruppi loro simili, e risiede nella fattura delle canzoni. Non post-it confusi e raffazzonati, non copie carbone dei precursori, nemmeno riciclaggi impuniti di prove dal dubbio valore. I Long Distance Calling sanno di cosa si sta parlando e, anzi, mettono cuore ed anima dentro brani dalla struttura tutto sommato semplice, ma dalle variazioni di suono e d’atmosfera più che affascinanti. “359°” è il fotogramma che inchioda, nell’attimo esatto, il panorama della copertina: fraseggi malinconici, andamento in climax con scoppio semi-orchestrale nel finale, asprezze in levare appena levigate da melodie impalpabili.  

L’album, in realtà, è molto più secco, minimale ed incisivo di quanto non si potrebbe dedurre a prima vista. È forse quest’essenzialità di base che mette le ali al post-core in heavy metal di “Black Paper Planes”, sferzante frustata in pieno volto che vince e convince, o ai dieci minuti e mezzo di “I Know You, Stanley Milgram!”, la perla del lavoro, con una doppia cassa che spezza in due un’apparente levità di glitch e tracima, successivamente, in una staffilata southern d’impatto micidiale. La bella e la bestia, in un gioco di luci ed ombre che, spesso, rinuncia all’alternanza tipica del genere per procedere a spada tratta, senza esclusione di colpi.  

Peccato, solo, che la voglia di strafare li abbia portati poi alla deriva, su una zattera ingombrante e zavorrata come “The Nearing Grave”, unico pezzo cantato del lotto (per essere più precisi, da Jonas Renkse dei Katatonia), che sbriciola gli Isis dentro un’architettura gotica, fragile, di difficile difesa, sicuramente stereotipata e, a dirla tutta, bruttina. Ma è una macchia quasi irrisoria, all’interno di un disco certamente riuscito e che accende i riflettori sopra di una band da scoprire.  

Basta poco, sì. Welcome home, now.

V Voti

Voto degli utenti: 7/10 in media su 3 voti.
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target 6/10
giank 7/10

C Commenti

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swansong (ha votato 8 questo disco) alle 11:39 del 3 giugno 2009 ha scritto:

Bravi!

Gran bel dischetto. Atmosfere sognanti, rarefatte e circolari...proprio tutto quello che ti aspetti da un lavoro del genere (è forse un limite?). Come al solito ottima rece dell'ottimo Marco (anche se io ci sento qualcosina anche dei grandi ed inimitabili Red Sparowes..non trovi? Non raggiungono le loro vette, ma però...)