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R Recensione

6,5/10

Meganoidi

Welcome In Disagio

Sapevate, per caso, che lo scorso aprile è uscito un nuovo disco dei Meganoidi, il quinto, a tre anni di distanza da quel piccolo gioiellino di “Al Posto Del Fuoco”? Beh, io no. Non, almeno, fino a qualche settimana fa. Quando quel dubbio, piccolo tarlo nascosto, è spuntato fuori senza preavviso, senza connessione logica, quasi a riprendere le fila di un vecchio discorso interrotto tempo addietro: ma che fine hanno fatto? Due ricerche al volo hanno completato l’opera. Già, non ne sapevo proprio niente. Ed allora, se tanto mi dava tanto, ho voluto fare la prova del fuoco: sto inesorabilmente invecchiando io, o si stanno mimetizzando alla perfezione loro? La stessa ricerchina di prima mi ha portato a concludere che di ignari Marco Biasio è piena la rete: in cinque mesi, quattro recensioni a dire tanto. Una sottoesposizione spaventosa, specie se si considera diacronicamente cosa i Meganoidi erano – e rappresentavano – anche solo dieci anni fa: il gruppettino ska, quelli con le chitarre e la tromba, i testi in italiano, Supereroi, la Genova dei centri sociali… Una miriade di hashtags morti e sepolti. Perché, di fatto, sin dal fantastico, immaginifico ed ancora misconosciuto esperimento di “And Then We Met Impero”, pesante psichedelia progressiva e intrecci strumentali mozzafiato a segare le gambe degli snob puristi, morti e sepolti sono “quei” Meganoidi. Il successo commerciale passa ed ammazza tutti i suoi figli, prima o poi, con tempistiche oculate e dettate dall’alto: i cinque liguri hanno deciso, coraggiosamente, di uccidersi da soli, senza rispettare diktat esterni. Un affronto imperdonabile. Il mercato, difatti, non ha perdonato. I Meganoidi sono caduti nel dimenticatoio.

Da un argomento all’altro. Sarebbe stato impossibile credere all’effettiva paternità di “Welcome In Disagio”, una decade fa, se sprovvisti dei necessari intermezzi evolutivi, dalla rottura improvvisa e debordante dell’EP sopracitato alla vischiosità riflessiva di “Granvanoeli”, sino all’eclettica esplosività di “Al Posto Del Fuoco”. Rispetto a quanto perentoriamente affermato con l’ultima prova in studio, un mirabile sunto dell’America rumorosa dei primi Nineties filtrato con metodo panoramico e gusto melodico, il nuovo lavoro – concepito, registrato e mixato, ancora una volta, all’interno di Green Fog, laboratorio creativo del rock indipendente – punta a calmare le acque, a tonificare i muscoli, a rilassare i nervi. Tanto che, forse per ideale continuum con il recente passato, la botta vera e propria arriva solo in apertura, con una “Ora Esiste Dopo Non Più” di secca nevrosi fugaziana un riff-una sillaba che prende (e pretende) chiarissime distanze dai propri personali lustri mediatici pre-G8 (“Diventerai una superstar / Incontrerai solo superstar / Rinnegherai tutte le superstar / Proprio come te”). Entrare nell’anima di “Welcome In Disagio” è come fare un tuffo, in apnea, per esplorare i fondali del mar Ligure e scorgervi, indistintamente, la ricchezza di colori e sfumature. Nel calderone finisce di tutto: armonie progressive di distinta caratura politica (la complessità lirica e musicale di “Finestre Aperte”, l’amore quotidiano sotto le storture dell’economia e del potere costituito, con bassi in evidenza, una vibrante coda slintiana e una coltre di tastiere a rinforzare il nocciolo fondamentale), la forza straordinaria delle immagini di “Milioni Di Pezzi” (“Dividerò il mio corpo in milioni di pezzi / Per poi ricomporli in modo molto più preciso / No, la tensione non prenderà mai il meglio di me / Perché io sono tuo, tuo per sempre”), il vigoroso indie rock a presa rapida di “Tutto Chiaro”, lo slow-core addomesticato in elaborati ghirigori chitarristici del singolo “Ghiaccio”, vicino agli ultimi Petrol de “L’Amore È Un Cane”.

Tirare indietro la leva, tuttavia, espone potenzialmente a due rischi: il pericolo di addormentare il ritmo e, come conseguenza sequenzialmente collaterale, l’esagerare nei ritorni di fiamma. “Welcome In Disagio”, a differenza del predecessore, ed è questo l’unico peccato non propriamente veniale, non riesce a stornare del tutto né l’uno, né l’altro. Fuori luogo il giovanilistico crossover schiacciato da fiati ska-core di “Quello Che Ti Salta In Mente”, un timido rimando alla grinta ludica di “Outside The Loop, Stupendo Sensation” e pasticciate, sebbene nobili, le velleità di scarico accelerato/decelerato di “Luci Dal Porto”. Meglio quando le trame si semplificano – si fa per dire, perché si avverte distintamente un grande lavorio strumentale – e gli arrangiamenti mettono a nudo la bellezza essenziale delle melodie, come accade per la conclusiva “Ogni Attimo” e le sue asperità ricoperte di delicati arpeggi, o per la vis polemica lucidata da chitarre slacker di “Quasi Ad Occhi Chiusi” (un altro riferimento “anti” ai Meganoidi d’un tempo?).

Ora, dite un po’: sapevate dell’uscita di un nuovo disco dei Meganoidi? Io neppure. Grazie alla Municipale, c’è sempre tempo per rimediare.

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motek 7,5/10

C Commenti

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Franz Bungaro alle 14:32 del 2 ottobre 2012 ha scritto:

Marco, complimenti per la recensione appassionata (mi ha fatto venire voglia di riascoltare l'album, sul quale avevo messo una pietra sopra). Album che aspettavo, e della quale uscita parlò più o meno tutta la "stampa stampata" di settore. L'ho iniziato ad ascoltare dal giorno stesso dell'uscita. No, non mi aveva convinto per niente, e l'ho ascoltato tanto, proprio perchè volevo essere rapito. Forse non gli ho mai dedicato un ascolto ragionato. Ma quando non c'è passione, è difficile mantenere la convivenza. Voglio però dargli un'altra possibilità, quindi ripasso l'album e ripasso per il voto. Che se dovessi darlo ora, con le impressioni che ricordo, sarebbe molto negativo.

Franz Bungaro alle 14:34 del 2 ottobre 2012 ha scritto:

Vabbè, ho scritto di corsa, scusa l'italiano approssimativo!

Marco_Biasio, autore, alle 18:16 del 2 ottobre 2012 ha scritto:

Ma vota, vota pure, non farti problemi! A me loro sono sempre stati abbastanza simpatici, e la svolta di And Then We Met Impero me li ha fatti apprezzare moltissimo anche musicalmente. Rispetto ad Al Posto Del Fuoco questo presenta qualche flessione di troppo, segno che comunque i Meganoidi non sono - al netto delle svolte - un grandissimo gruppo: ma ne apprezzo l'onestà, il coraggio e ben più di una canzone Sulla stampa, ammetto di non saperne niente: non leggo un giornale musicale da un paio d'anni, e ho comprato l'ultimo luglio/agosto di Blow Up solo per sfizio, più che per altro...