Meganoidi
Welcome In Disagio
Sapevate, per caso, che lo scorso aprile è uscito un nuovo disco dei Meganoidi, il quinto, a tre anni di distanza da quel piccolo gioiellino di Al Posto Del Fuoco? Beh, io no. Non, almeno, fino a qualche settimana fa. Quando quel dubbio, piccolo tarlo nascosto, è spuntato fuori senza preavviso, senza connessione logica, quasi a riprendere le fila di un vecchio discorso interrotto tempo addietro: ma che fine hanno fatto? Due ricerche al volo hanno completato lopera. Già, non ne sapevo proprio niente. Ed allora, se tanto mi dava tanto, ho voluto fare la prova del fuoco: sto inesorabilmente invecchiando io, o si stanno mimetizzando alla perfezione loro? La stessa ricerchina di prima mi ha portato a concludere che di ignari Marco Biasio è piena la rete: in cinque mesi, quattro recensioni a dire tanto. Una sottoesposizione spaventosa, specie se si considera diacronicamente cosa i Meganoidi erano e rappresentavano anche solo dieci anni fa: il gruppettino ska, quelli con le chitarre e la tromba, i testi in italiano, Supereroi, la Genova dei centri sociali Una miriade di hashtags morti e sepolti. Perché, di fatto, sin dal fantastico, immaginifico ed ancora misconosciuto esperimento di And Then We Met Impero, pesante psichedelia progressiva e intrecci strumentali mozzafiato a segare le gambe degli snob puristi, morti e sepolti sono quei Meganoidi. Il successo commerciale passa ed ammazza tutti i suoi figli, prima o poi, con tempistiche oculate e dettate dallalto: i cinque liguri hanno deciso, coraggiosamente, di uccidersi da soli, senza rispettare diktat esterni. Un affronto imperdonabile. Il mercato, difatti, non ha perdonato. I Meganoidi sono caduti nel dimenticatoio.
Da un argomento allaltro. Sarebbe stato impossibile credere alleffettiva paternità di Welcome In Disagio, una decade fa, se sprovvisti dei necessari intermezzi evolutivi, dalla rottura improvvisa e debordante dellEP sopracitato alla vischiosità riflessiva di Granvanoeli, sino alleclettica esplosività di Al Posto Del Fuoco. Rispetto a quanto perentoriamente affermato con lultima prova in studio, un mirabile sunto dellAmerica rumorosa dei primi Nineties filtrato con metodo panoramico e gusto melodico, il nuovo lavoro concepito, registrato e mixato, ancora una volta, allinterno di Green Fog, laboratorio creativo del rock indipendente punta a calmare le acque, a tonificare i muscoli, a rilassare i nervi. Tanto che, forse per ideale continuum con il recente passato, la botta vera e propria arriva solo in apertura, con una Ora Esiste Dopo Non Più di secca nevrosi fugaziana un riff-una sillaba che prende (e pretende) chiarissime distanze dai propri personali lustri mediatici pre-G8 (Diventerai una superstar / Incontrerai solo superstar / Rinnegherai tutte le superstar / Proprio come te). Entrare nellanima di Welcome In Disagio è come fare un tuffo, in apnea, per esplorare i fondali del mar Ligure e scorgervi, indistintamente, la ricchezza di colori e sfumature. Nel calderone finisce di tutto: armonie progressive di distinta caratura politica (la complessità lirica e musicale di Finestre Aperte, lamore quotidiano sotto le storture delleconomia e del potere costituito, con bassi in evidenza, una vibrante coda slintiana e una coltre di tastiere a rinforzare il nocciolo fondamentale), la forza straordinaria delle immagini di Milioni Di Pezzi (Dividerò il mio corpo in milioni di pezzi / Per poi ricomporli in modo molto più preciso / No, la tensione non prenderà mai il meglio di me / Perché io sono tuo, tuo per sempre), il vigoroso indie rock a presa rapida di Tutto Chiaro, lo slow-core addomesticato in elaborati ghirigori chitarristici del singolo Ghiaccio, vicino agli ultimi Petrol de LAmore È Un Cane.
Tirare indietro la leva, tuttavia, espone potenzialmente a due rischi: il pericolo di addormentare il ritmo e, come conseguenza sequenzialmente collaterale, lesagerare nei ritorni di fiamma. Welcome In Disagio, a differenza del predecessore, ed è questo lunico peccato non propriamente veniale, non riesce a stornare del tutto né luno, né laltro. Fuori luogo il giovanilistico crossover schiacciato da fiati ska-core di Quello Che Ti Salta In Mente, un timido rimando alla grinta ludica di Outside The Loop, Stupendo Sensation e pasticciate, sebbene nobili, le velleità di scarico accelerato/decelerato di Luci Dal Porto. Meglio quando le trame si semplificano si fa per dire, perché si avverte distintamente un grande lavorio strumentale e gli arrangiamenti mettono a nudo la bellezza essenziale delle melodie, come accade per la conclusiva Ogni Attimo e le sue asperità ricoperte di delicati arpeggi, o per la vis polemica lucidata da chitarre slacker di Quasi Ad Occhi Chiusi (un altro riferimento anti ai Meganoidi dun tempo?).
Ora, dite un po: sapevate delluscita di un nuovo disco dei Meganoidi? Io neppure. Grazie alla Municipale, cè sempre tempo per rimediare.
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