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R Recensione

7,5/10

Mole (trio)

RGB

La specificazione tra parentesi nella ragione sociale sta a significare che l’entità Mole rimane invariata, ma si presenta, nei nove pezzi di “RGB” in una nuova incarnazione. Un lavoro molto denso, ricco di spunti diversi, dal free jazz al funk, che prosegue, incrementandone la carica ritmica, il percorso inaugurato dal predecessore “What’s The Meaning”. Alla base dei Mole (pronunciare Moolay, nome di una salsa messicana non proprio abbordabile) resta il dialogo paritario fra il pianoforte di Mark Aanderud, autore delle composizioni anche su “RGB”, e la batteria di Hernan Hecht (parte anche del frullatore di generi Brainkiller), ma questa volta il composto può contare su un terzo ingrediente, il basso funky e percussivo del giapponese Stomu Takeishi, a completare una eterogeneità geografica che riflette la provenienza musicale. La cifra stilistica del gruppo rimane collocabile all’interno della corrente che ha illustri epigoni nell’Esbjorn Svensson Trio, avventura che ha rivoluzionato il concetto di piano trio portandolo fuori dalle praterie del jazz fino alle nubi elettroniche ed agli orizzonti post rock, ma, su quelle rotte, le variabili ormai si sono moltiplicate e ciascuna possiede specifici caratteri identitari .

Quelli di Mole sono sicuramente la caratura autoriale di Aanderud, un musicista che costruisce con senso architettonico le proprie composizioni, iniziando da fondamenta ambientali per edificare gradualmente, tramite progressive addizioni, temi dalla forte impronta melodica (vedi l’iniziale “Sub-All” o “Ines Est”) o spazi riservati alla creazione istantanea che culminano in climax avvolgenti (entrambi presenti nella stupenda  “Freelance”, piccolo manuale su come rendere memorabili nove minuti di musica): va anche sottolineata, in particolare su “RGB”, la dirompente carica ritmica di Hecht, qui alle prese con una ampia varietà di configurazioni, dalle rarefatte atmosfere giocate sui piatti agli incastri poliritmici di pezzi come “Reasons” o “Rodriguez”, veri tour de force percussivi. Rispetto alla resa live (visti la scorsa estate al Gezmataz festival di Genova) il basso di Takeishi su disco ha un ruolo più contenuto, rivolto ad assicurare il tessuto connettivo fra pianoforte e batteria ed incrementare il tasso funk dei pezzi più movimentati; tutto torna se si considera la maggior definizione e messa a fuoco del  progetto complessivo rispetto a quei primi mesi di musica in trio. 

Resta da dire dei due episodi più marcatamente free, “Trichromatic e T. Overleap” nei quali prevalgono atmosfere liquide e cellule sonore acustiche ed elettroniche lanciate in libertà, e del glorioso finale in tempo dispari di “Wix”. All’interno del suo svolgimento succede un po’ di tutto: la ricerca del filo comune, il tema del pianoforte, subito abbandonato per sviluppare un volo solitario supportato da una fragorosa base ritmica, un atterraggio free e la conclusione nuovamente sul pulsante tema iniziale. Vogliamo azzardare: una “Take Five” dei giorni nostri?

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Voto degli utenti: 8/10 in media su 1 voto.
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ciccio 8/10

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